Un grande pendolo della Storia, che attraversa il Medio Oriente oscillando attraverso i secoli tra due polarità: impero e anarchia.
È questa la tesi di fondo attorno alla quale cesella il suo ponderoso e poderoso saggio Robert D. Kaplan: Il Grande Medio Oriente (Marsilio pagg. 446, euro 24). Kaplan è uno dei politologi più apprezzati degli Usa ed è anche un grande viaggiatore che ha percorso in lungo e in largo quel territorio che potremmo definire come un enorme territorio su cui si è registrato il passaggio della religione e della cultura islamica. Un'area vastissima che comprende larga parte dell'Africa, si spinge sino ai Balcani e arriva alla regione cinese dello Xinjang.
Va da sé che questi territori sono tra di loro diversissimi e pervasi da una miriade di culture. Ma secondo Kaplan è possibile ritrovare nella Storia alcuni fattori unificanti che ne hanno caratterizzato per secoli lo sviluppo politico. Per usare le sue parole: «Tra l'Europa e le grandi civiltà mature di Cina e India si estende per circa cinquemila chilometri una regione dominata da altipiani rocciosi e desertici, dove le piogge sono relativamente scarse, le frontiere contese, l'unità politica è raramente esistita e dove, secondo lo storico di Princeton Bernard Lewis, non c'è mai stato un modello storicamente definito di autorità».
La generalizzazione di Lewis citata da Kaplan è certamente imprecisa. Tanto per dire Egitto e Iran, così come Irak e Turchia, sono stati governati da civiltà mature per migliaia di anni. Ma queste autorità hanno dovuto sempre affermarsi con una forma di potere fortemente accentratore e caratterizzato nel suo permanere da poca attenzione al consenso e dall'uso costante della forza militare. Sempre secondo Kaplan: «L'aridità, la grande varietà e la confusione politica tipiche dei territori tra il Mediterraneo e la Cina meritano un'attenta disamina». Del resto l'idea che questo paesaggio austero rappresentasse la «Terra dell'Insolenza», era già dell'antropologo americano Carleton S. Coon. La usò negli anni Sessanta riferendosi alla natura ribelle della politica mediorientale moderna, con la sua tradizione di orgoglio e indipendenza unita al tribalismo e alle tensioni etniche e settarie.
Risulta evidente che si tratta di una visione sul lungo periodo che riprende in maniera moderna idee che legano ambiente e politica caratteristiche di un grande classico come Lo spirito delle leggi di Montesquieu. In aggiunta Kaplan riflette sull'effetto particolare che ha avuto l'islam su questi territori. «Il tema dell'autorità politica, chi controlla chi, rimane spesso irrisolto in tutto il Medio Oriente. L'islam, divulgato dal profeta Maometto, un commerciante vissuto nel ricco crocevia cosmopolita della Mecca all'inizio del VI secolo d.C., era incentrato sull'etica e su come condurre una vita pura e giusta di fronte alle impegnative limitazioni di un paesaggio desertico, dove l'ambiente era insidioso e di conseguenza gli spostamenti difficili».
Ma la religione del Corano, sebbene abbia offerto uno stile di vita completo, capace di abbracciare molte civiltà e, nei secoli, di rendere soddisfatte della propria esistenza milioni di persone indigenti, non ha lasciato disposizioni solide per l'autorità politica temporale. Eppure non è possibile staccare l'islam dalla politica. Di nuovo Kaplan: «Mentre le altre religioni, come il cristianesimo, non cercavano il controllo sulla politica e si limitavano in genere a un credo privato, l'islam offriva uno stile di vita onnicomprensivo. Il risultato è stato una serie di scontri violentissimi tra cui la lotta tra sciiti e sunniti è solo la punta dell'iceberg».
Ma quello che abbiamo detto sin qui farebbe del libro di Kaplan un freddo testo scientifico e analitico. La bravura di Kaplan è invece quella di calare il ragionamento nella narrazione viva dei suoi molti viaggi. Per far vedere quanto la Storia, con il suo peso secolare, influenzi il presente delle nazioni. Memorabile la descrizione della Costantinopoli di oggi che consente di riflettere su tutte le stratificazioni dell'Impero turco. Oppure il rapporto tra il Nilo, la storia egiziana e le recenti primavere arabe.
Il risultato è un'analisi molto dettaglia su cui aprire il dibattito. Ad esempio, Kaplan diffida delle facili idee di esportazione della democrazia. «Anziché desiderare solo la democrazia nel Grande Medio Oriente, dovremmo aspirare a regimi consultivi al posto di quelli arbitrari, ossia regimi che ascoltano e considerano l'opinione pubblica pur in assenza di elezioni. Le monarchie, compresi gli sceiccati del Golfo, tendono a consultarsi di più con le varie tribù, le fazioni e i gruppi interessati di quanto non facciano i regimi secolari in via di modernizzazione, che troppo spesso sono stati dittature arbitrarie, baathiste o meno. In altre parole, puntare a ciò che è possibile piuttosto che a ciò che è solo giusto».
La domanda è se questa via di mezzo è possibile, perché l'Occidente ha pagato a caro prezzo la conquista della libertà e della democrazia.
Ma la democrazia è minacciata anche dalle tirannie altrui. Senza elezioni e costituzioni chiare è molto facile che la monarchia saggia e temperata di oggi diventi la tirannia o il regime di oltranzismo religioso di domani. E nel mondo globalizzato non possiamo permettercelo.
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