L’ultima battaglia di Mentana - intendo di Enrico, sedicente garibaldino della libertà d’informazione - non ha nulla di risorgimentale né propriamente di epico, emana piuttosto un forte profumo di soldi, essenza che, in tempi di crisi, richiama interesse e contrastanti pensieri. L’ex direttore editoriale di Canale 5 e conduttore di Matrix ha accolto con soddisfazione la decisione del Tribunale di Roma - Sezione lavoro - che ha condannato la società Rti (la branca di Mediaset che gestisce i telegiornali e i programmi informativi del Biscione) a riassumere il buon Chicco, ritenendo illegittimo il suo licenziamento da realizzatore e conduttore di Matrix. Licenziamento, si chiederà qualcuno? Ma Mentana non si era dimesso con una fiera dichiarazione d’indipendenza perché l’azienda non aveva modificato il palinsesto e abolito Il Grande Fratello in occasione della morte di Eluana Englaro?
In verità, le reti Mediaset coprirono benissimo il tragico evento, ma senza impegnare lo scalpitante Enrico, delegando il compito a Rete 4 e a Studio Aperto. Di qui le dimissioni, che in Italia, oltre che rare, sono precarie e circoscritte: pare che Mentana si sia dimesso da direttore editoriale di Canale 5 e non da conduttore di Matrix. Che sottigliezze, roba da avvocati, cavilli e commi nei quali non voglio sprofondare e che daranno luogo a una battaglia legale che non avrà immediata soluzione.
Quel che può interessare, piuttosto, nel dispositivo emesso dal Tribunale di Roma è il dettaglio economico: a Enrico Mentana è stato riconosciuto un primo, immediato risarcimento del danno pari a cinque mensilità della sua retribuzione globale. E a quanto ammonta tale salario? Esattamente a 125.000 euro mensili. Siamo tutti sollevati, compresi il ministro Sacconi e il ministro Tremonti, perché dubitiamo che il licenziato Mentana debba ricorrere agli ammortizzatori sociali. Per essere uno che a Mediaset stava sempre con un piede dentro e uno idealmente fuori - ma con la mano in tasca - Enrico Mentana non guadagnava proprio pochissimo. Era sempre avvolto in un’aura di fronda e di mugugno, ma questo non gli ha impedito di ottenere buoni contrattini, condizioni signorili di lavoro con uso di carrozza. Dal 1992 al 2004 ha diretto il Tg5 col piglio di un ras - non amava i mormorii e i moti d’indipendenza della ciurma - ma sempre con l’aria di chi non si trova completamente a suo agio e la sua dipartita dal Tg5 era un tormentone ricorrente nei corridoi di Milano 2 e di Cologno Monzese. Ma Enrico ha resistito a se stesso e ai suoi vezzi, è rimasto. Avrà avuto i suoi buoni motivi. E dal 2005 fino a tre mesi fa ha condotto Matrix. Fra alti e bassi, sempre ostentando un indicibile ma chiaro disagio per la permanenza in un’azienda che gli garantiva quei compensi. Nel 2008 arrivò a scrivere a Fedele Confalonieri: «Non mi sento a casa mia, mi aiuti ad andar via».
Ma, appena uscito, ha sentito un imperioso richiamo a tornare, chissà perché, e si è rivolto al giudice.
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