Metti una mattina a pescare... tra i cantieri della Darsena

Lucci, barbi, persici, tinche. Tutti promossi dalle analisi

Nel 1603 la darsena e il laghetto di Sant’Eustorgio furono trasformati in porto fluviale dal governatore spagnolo Don Pedro Enriquez Acevedo. In questo specchio d’acqua i milanesi pescavano, vedevano approdare i barconi dei sabionatt provenienti dal Ticino e facevano il bagno. Oggi non vedono più i barconi - l’ultimo carico ormeggiò qui nel marzo 1979 - e nemmeno si tuffano. Però una decina di irriducibili continua a pescare nonostante i cantieri del megaparcheggio interrato fermi dal 2004. E a fare due chiacchiere con loro si possono imparare tante cose. Per esempio che durante l’inverno le prede migliori si rifugiano nello specchio d’acqua di via Conca del Naviglio, delimitato da alte cancellate che impediscono la pesca. O che i lucci del Ticino risalgono il Naviglio Grande per venire a deporre le uova proprio nelle acque accanto a viale D'Annunzio. Ma pure carpe, tinche, barbi, alborelle, scardole e triotti ogni tanto fanno una capatina.
«Però - dice Gianni, ex dipendente Metro, tutte le mattine in darsena dalle sei alle otto - sarebbe ora che la Fips ripopolasse, perché molte specie stanno diventando sempre più rare». Accanto a lui, affacciato sul parapetto di viale Gorizia, un nonnetto continua a prendere alborelle per nulla distratto dallo sferragliare dei tram: «Ho 85 anni - svela - e da sempre pesco qui. Tre anni fa ho avuto la fotografia sul giornale perché ho tirato su un luccio di 14 chili».
Pazienti e mattinieri, i pescatori della darsena - quasi tutti in pensione - arrivano ogni giorno alla spicciolata in bici, tram o a piedi con tanto di licenza di pesca, lenze, canne, guadini e esche. Tranne il Giorgio, orafo e pescatore da 10 lustri, che in darsena ci viene in macchina. «Se fossi un assessore - ripete - ogni tanto manderei una squadretta a ripulire il fondo. C’è troppa vegetazione che marcendo sottrae ossigeno ai pesci». La cosa non è semplice perché le competenze, su Navigli e darsena, si perdono in mille rivoli: la Navigli Lombardi, che è il soggetto preposto alla valorizzazione dei circa 160 chilometri di canali del Milanese e del Pavese, è affiancata da Regione, Province, Camere di commercio e Comuni di Milano e Pavia, Consorzio Villoresi e inoltre da 45 delle 49 Amministrazioni rivierasche. A chi dovrebbe rivolgersi il povero Giorgio? Poco distante Ivo ha catturato quattro scardole e un persico-trota nella corrente che si forma alla confluenza col Naviglio Grande. Ex bidello, viene a pescare in tram da piazza Po. «Certo che li mangio - dice - . Anche le scardole: hanno tante spine ma se le fai in carpione, alla forchetta resta attaccata solo la ciccia».
Sulla commestibilità dei pesci della darsena i pareri sono discordi. Il fatto che non si veda nemmeno un cartello di divieto di pesca lascia supporre che non sia per disinteresse da parte del Comune ma per la consapevolezza che l’acqua non è tossica. Del resto nel 2006 i Navigli sono stati monitorati dal Dipartimento provinciale risorse idriche e naturali di Milano. E i risultati delle analisi dicono che il Naviglio Grande e quello Pavese, il primo lungo 50 chilometri, derivato dal Ticino in località Tornavento e il secondo di 33 chilometri che si snoda da Milano a Pavia lungo l’antica strada postale, sono entrambi corsi d’acqua di classe 2, che corrisponde al giudizio «buono».
Peccato che lo stesso non si possa dire sullo stato delle sponde: la seicentesca scalinata di viale Gorizia che avrebbe l’ambizione di far scendere sul ciglio dell’acqua turisti e pescatori, è impraticabile per la presenza di cartacce, lattine, bottiglie, sacchetti di plastica...
Umberto, quando può prende la canna, sale in tram e da Porta Romana arriva qui in cinque minuti. Ma prima di lanciare la lenza inforca guanti in lattice e pulisce quello che può buttando le cartacce nei cassonetti.

Oggi il suo carniere è pieno di triotti e alborelle: «Una volta - dice - il Comune aveva più sensibilità per pesci e pescatori: la darsena era molto meno lercia e nel periodo dell’asciutta, dal 20 settembre al 20 ottobre, un’ordinanza imponeva di lasciare almeno 10 centimetri d’acqua per non uccidere la fauna ittica». Succedeva negli anni ’60 e ’70, quando almeno 50 appassionati venivano ogni mattina a pescare in queste acque.

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