Mi chiamo Bond, Sean Bond: lo stile irraggiungibile dell'unico vero 007

Il fascino dell'agente segreto più famoso del mondo non aveva rivali. E piaceva a tutti

Mi chiamo Bond, Sean Bond: lo stile irraggiungibile dell'unico vero 007

Sia stramaledetto questo duemila e venti che sta rubando fette di vita e di ricordi e di nostalgie. Non soltanto il cinema perde una icona leggendaria, se ne va una parte di secolo, di moda raffinata, il profumo diverso dell'isola britannica, i favolosi anni di una Grande Bretagna. Fascino, bellezza, mistero. Che cosa altro poteva chiedere un agente segreto al servizio di Sua Maestà?

Questo ha saputo dare sir Thomas Sean Connery, Bond, James Bond. Scozzese duro di scorza, nel timbro di voce, caldo ma terribile nella pronuncia, reso ancora più imponente dalla maestosità di Connery che si era manifestata in quel concorso di mister Universo, nel Cinquanta e nel Cinquantatré, di cui si sono ritrovate istantanee improbabili, un culturista un po' buffo nella postura, in mezzo a energumeni dai muscoli gonfiati. Icona di tre generazioni, oggetto di desiderio, niente affatto oscuro, di donne di qualunque età, di registi e di produttori, forse trascurato da Hollywood che gli ha offerto un furbo Oscar come non protagonista, dimenticando i «suoi» film fantastici come 007.

«Love, love, ho soltanto cinque minuti per te» mi rispose al telefono dalla dimora spagnola di Marbella mentre imploravo un'intervista. Che, grazie a lui, si prolungò per tre quarti d'ora e fu un privilegio ascoltare l'agente speciale parlare dell'Italia e di Capri, del Milan e del nostro calcio, di De Sica e della Loren, della pastasciutta, lui che era venuto su ad haggis, interiora di pecora, grasso di rognone e cipolla. Un successivo incontro, in un ristorante londinese, ovviamente italiano, fu la beatificazione; Connery vestiva una camicia di tartan rossastro, aperta sul petto, portava pantaloni di velluto beige, era accompagnato, anzi circondato da cinque signore che potevano essere le Bond girls di giornata, comunque marginali, comparse rispetto all'attore protagonista. Connery tornò a raccontare l'episodio buffo che gli accadde a Edimburgo, quando fu ospite del Film Festival. A bordo del taxi, indicò all'autista, ad ogni incrocio o sosta per il traffico, la porta, o il cancello delle case, dinanzi alle quali aveva depositato, in gioventù, la bottiglia del latte, ogni mattina. Il taxista non cambiò espressione, accennò con il capo e domandò: «E ora che mestiere fa?».

Era quella la Scozia, erano quelli gli scozzesi che Thomas Sean amava, aveva voluto tatuarli sulla schiena, «Scotland forever», oltre a quell'altra dedica per «Mamma e papà», in breve il significato della sua vita, non certamente l'Aston Martin, la torre di Londra e sua Maestà la Regina. Di Bond annusavi il profumo anche al cinematografo, pure la sigaretta aveva un vapore bianco, differente dagli altri tabacchi. Sapeva indossare smoking e giacche da caccia, jeans e magliette, con lo stesso stile, seduceva e non possedeva le sue amanti o compagne di scena. Non scorgevi una sola goccia di sangue nelle sue azioni più violente e spettacolari al termine delle quali la scriminatura dei capelli era rimasta intatta, anche il volto non portava segni di sofferenza. Sarebbe stato quel maledetto di Brian De Palma, regista, a ucciderlo, nel ruolo di Jimmy Malone, ne The Untouchables, «Gli incorruttibili» mal tradotto in Gli intoccabili. Quello fu un atto vile: Bond, anche travestito da poliziotto irlandese, non poteva e non doveva morire.

Mai. Perché Thomas Sean Connery aveva il tocco divino dell'eternità, non tanto per la parte su di lui disegnata da Albert Broccoli, per caso e per disperazione, dopo la rinuncia di altri attori, ma per il modo, l'arte scenica, l'eleganza esclusiva, infine la classe. Al punto che si può dire che ci sia stato un solo Bond, James Bond, lui, sir Thomas Sean Connery, il resto è xerox, copia, facsimile, tale e quale. Lo conferma il fatto che l'uscita dell'ultimo film della serie, interpretato da Daniel Craig, sia stata rinviata, forse perché porta il titolo di No Time to Die, non c'è tempo per morire.

Nella casa, alle Bahamas, come era giusto che fosse per una leggenda, James Connery e Sean Bond non riuscivano più a vivere la grande esistenza, double o seven camminava reggendosi a un deambulatore e a un piccolo uomo che lo sosteneva all'altro braccio.

Non era più vita quella, sir Connery ha trovato lui il tempo e la sua licenzia di morire, portandosi via i sogni di un'epoca, trascorsa nelle buie sale di un cinematografo.

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