"Mi sono fidanzato con una ragazzina, ma è tutto platonico"

L’artista recita per Castellitto in "La bellezza del somaro". E interpreta uno strampalato, triste settantacinquenne

"Mi sono fidanzato con una ragazzina, ma è tutto platonico"

Mentre la questione dell’esser più o meno vecchi pare decisiva anche in politica - con il “Cav” che dice a quelli del Terzo Polo «Siete vecchi» e Casini che risponde «Allora tu sei catacombale» - il settantacinquenne Enzo Jannacci a Natale esordisce sul grande schermo e dice la sua sull’avanzare del tempo. Ne La bellezza del somaro di e con Sergio Castellitto, divertente commedia corale (dal 17) con Laura Morante, Marco Giallini e Gianfelice Imparato, il cantautore-dottore stupisce per la perizia con cui fa l’Armando. Stralunato come il protagonista dell’omonima sua canzone, che nel ’64 tenne banco in classifica, Jannacci ancora una volta spiazza tutti. Perché è lui, non un ragazzo nero, bisex o drogato, il «fidanzatino» di Rosa, diciassette anni di malcontento e mugugni («ha scassato il cazzo da quand’è nata», sbotta papà Castellitto, cinquantenne tutto canne con mamma Morante, goffa signora di mezz’età). Così, quando l’Armando spunta da dietro un cespuglio, bonsai in mano, camicia trendy celeste col colletto alla coreana e chioma bianca da nonno, ai genitori radical-chic dell’adolescente prende un colpo. «Che cos’ha Armando che non va?», urla Rosina, fragile fanciulla dei nostri tempi. Sono quei cinquant’anni in più, quella senilità rinfacciata come una colpa, ora che abbiamo metabolizzato ogni diversità, a fare la differenza. E a marcare l’ultimo tabù duro a morire. La bellezza del somaro, infatti, ce l’hanno i giovani che, al pari dei somari, contano sulla pellaccia della loro forza, della propria caparbia sventatezza.
Per la prima volta sul set: com’è andata?
«Non ho ancora visto il film, ma spero bene. Mi sono affidato anima e corpo a Castellitto, un mostro sia come attore che come regista. Mi diceva di sorridere a mezza bocca, più a sinistra possibile; di fare il viso sofferente, un po’ corrucciato. Ho trovato l’esperienza faticosa: sono vecchio, malato e ho dovuto affrontare ore di treno per andare e venire da Milano in Toscana, dov’è ambientato il film. Ma per fortuna anche Lola Ponce, che non conoscevo, m’ha aiutato a entrare nella parte. Tornerei a fare l’attore soltanto se diretto da Sergio. Io amo il cinema, ma ho visto cose da ammazzarsi: ne fanno a centinaia, di film e mica tutti vanno bene».
Perché genitori moderni e illuminati tipo Indovina chi viene a cena?, poi deplorano che la loro figlia abbia un fidanzato tanto più anziano di lei?
«Premesso che non ci sono scene di sesso tra me e la bravissima Nina Torresi, anzi, alla fine, la lascerò, sussurrandole: “Amarsi non è fare l’amore. È un’altra cosa”, gli ostacoli li mette soprattutto il padre, un immaturo che vuole competere con me. Credo d’essere stato scelto perché di me si sa tutto: quanti anni ho, che faccia ho… però non mi si vede più da cinque anni. Da dove sbuca, questo? Non lo so neanch’io, da dove sono sbucato. Devo attirare l’attenzione».
Al centro della storia si situa lo scontro generazionale tra padri e figli: è impossibile capirsi, in famiglia?
«Non è difficile, almeno nella mia esperienza. Mio padre Giuseppe, un aviatore e un artista, m’ha insegnato tutto quello che sapeva della vita. Così io cerco di passare a mio figlio Dario, musicista pure lui, tanto che dirige l’orchestra di Zelig, ciò che ho appreso vivendo. Ma se tu le cose non le sai bene, se sei fracico di cervello, non puoi passarle ai giovani».
Che tipo di padre è Enzo Jannacci?
«Esattamente quello lì. Quel signore pacato ed esperto che si vede nel film. Però Jannacci è pure un tipo strano… Così non risulta eccessivo che stia con una ragazzina. L’Armando è sempre un po’ frastornato e di lui non si sa niente: spunta come un alieno».
Da anni non la si vede più sulla scena: a cosa si deve tale scomparsa?
«Mi sono trovato al di fuori della mischia perché ho sentito che un certo sistema stava rotolando verso il basso e non volevo farne parte. Guardi Zelig: ci sono troppi comici e pochi fanno ridere. Io, allievo di Dario Fo, mi fermo a Verdone, Manfredi, Sordi. Anche la musica: se la fai in modo egregio, “de core”, si sente. E al cinema, in tivù, si vede molto chiaramente se sei bravo o no.

Chi fa l’artista svolge un servizio pubblico. Perciò, con la mia mentalità farsesca e comica, ma introversa, ho deciso di starmene da parte. Sono in pensione anche come cardiologo. Come nonno, invece, vado forte con una nipotina di due anni e mezzo».

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