"La mia Lolita Lobosco indaga e seduce usando anche le armi delle sue debolezze"

L'attrice spiega la psicologia del personaggio che da domenica torna nella fiction su Raiuno

"La mia Lolita Lobosco indaga e seduce usando anche le armi delle sue debolezze"

Roma. Diciamoci la verità. Quante donne come Lolita Lobosco esistono nella realtà? Quanto, questo travolgente mix di bellezza e autorevolezza racconta davvero (come afferma chi l'ha inventato) «una femminilità moderna, in ostinata lotta contro i pregiudizi maschili», o non appaga piuttosto, con un cliché ben calcolato, le ambizioni (magari irrealizzate) di un pubblico prevalentemente femminile? Questione irrilevante. Veritiero o pretestuoso che sia, con il suo 30 per cento di share la scorsa stagione il moderno femminino de Le indagini di Lolita Lobosco ha sbaragliato il campo. E pienamente giustificato il ritorno a grandi falcate su tacco 12 del curvilineo vice questore barese, nella seconda stagione diretta da Luca Miniero, dall'8 per sei serate su Raiuno. «Serie più bella ancora della prima», afferma Luca Zingaretti, produttore e marito dell'attrice alla quale spetta riunire in sé le caratteristiche inventate dall'autrice dei romanzi originali, Gabriella Genisi: bellezza mediterranea, pungente dinamismo, imprevista malinconia. Tutto riassunto nei luminosi occhi di velluto di Luisa Ranieri.

Ecco allora un'altra volta in azione questa empatica poliziotta del Sud, dura eppure femminilissima.

«Già: di nuovo alle prese con casi molto complessi, che risolverà anche grazie all'aiuto dei fidati Forte ed Esposito, cercando contemporaneamente di mantenere la promessa fatta al padre di scoprire il suo assassino. Ma soprattutto, da poliziotta alla guida di una squadra tutta composta da uomini, dovrà combattere i tanti pregiudizi che ancora resistono nei confronti delle donne sole al comando».

Riuscendoci alla grande. Il che solleva appunto il dubbio: donna reale o solo televisiva?

«Lolita è certamente un personaggio inventato. Diciamo che ha una natura aspirazionale. Racconta cioè come molte donne vorrebbero essere, più che come sono. Ma anche come, piano piano, stanno diventando. Un femminile che non ha bisogno di assomigliare al maschile, per dimostrarsi autorevole. E meritevole. Basta pensare, per esempio, a quanto hanno significato per la fiction Rai donne come Tinni Andreatta e Maria Pia Ammirati. O quanto, in senso più ampio, e al di fuori di qualsiasi considerazione politica, abbia detto l'arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Lolita porta in scena la donna alla quale molte vorrebbero somigliare. Anche se, magari, non se lo dicono».

Ma la donna in lotta contro gli stereotipi maschilisti, su cui ormai la fiction punta programmaticamente, non rischia di diventare stereotipo a sua volta?

«Il rischio c'è. Nel nostro caso dipenderà dagli sceneggiatori che Lolita non scivoli nel cliché. Ma proprio per questo eccola già in questa seconda stagione vacillare nelle sue certezze di donna autonoma e in carriera. Per poi riafferrarle prontamente, con quello spirito brusco e ironico che le è tipico. Ad esempio, sotto la spinta della madre (interpretata da Lunetta Savino) prova a ripensare il rapporto anticonvenzionale con il molto più giovane Danilo (che è Filippo Scicchitano). Poi a mettersi in discussione nel recuperato sentimento per un fascinoso ex, che riaffiora dal passato. Ma Lolita ha 45 anni: il tempo si è stratificato in lei, formandola com'è ora. Non è più una ragazzina. Non ha la pazienza di mettersi sentimentalmente in stand by, vorrebbe tutto e subito. Ha paura del tempo che passa. Salvo poi concludere, com'è nel suo stile, ma chi se ne frega del tempo che passa!».

È stato questo a intrigare il numeroso pubblico femminile nella prima stagione?

«Anche questo, sì. Immedesimarsi nell'imperfezione della protagonista. Ne ho avuto la conferma da tante ragazze, anche molto più giovani del personaggio: dietro la sua grinta Lolita è fragile, disfunzionale nei sentimenti, non riesce a seguire sempre una linea retta. Ma piace perché almeno tiene duro, mentre è costretta a seguire tutte le curve, i su e giù che la vita fatalmente riserva. Rimane convinta che la donna sia libera di sposarsi e di avere una famiglia. Ma anche di non farlo affatto. Come molte donne d'oggi».

Dal suo entusiasmo sembra quasi che per lei, rispetto al fascino del personaggio, la natura gialla della storie passi in secondo piano.

«È così. Lolita potrebbe fare anche, chesso, il chirurgo o l'architetto. Il lavoro è centrale per lei, come per molte donne moderne che vi si identificano totalmente e lo mettono davanti all'amore. Ma non lo è per l'effetto che il personaggio produce: Lolita è più interessante ancora degli stessi casi gialli che è chiamata a risolvere».

C'è un aspetto del suo carattere che lei non ha e che vorrebbe avere?

«La spregiudicatezza. Perché in realtà, più che di qualcuno, Lolita è innamorata dell'amore. È un uccel di bosco all'eterna rincorsa della passione, del momento, del qui e ora. Non è tipo da matrimonio, Lolita. È una che si butta. È convinta che per vivere bisogna darsi; altrimenti non è vivere. Il che significa anche sbagliare, naturalmente: buttarsi e prendere magari una craniata. Ma farsi male, per lei, fa parte della vita».

Che tipo di seduttrice è?

«Le piace stuzzicare, provocare. Così con gli uomini che lavorano con lei si diverte a essere pungente: vuole loro bene, ma non lo dimostra mai troppo apertamente. Sorride loro, ma sempre in modo che loro non se ne accorgano».

E poi c'è l'ironia. Quanto spazio ha nel fascino di Lolita?

«Enorme. È un altro aspetto della sua modernità.

Lei sa guardare le cose da un diverso punto di vista; ed è questa distanza a consentire la scoperta dei lato ironico. Anch'io, grazie alla lunga assenza, ogni volta che torno a Napoli mi ritrovo ad avere altri occhi. Quelli che mi fanno sorridere del mio stesso essere napoletana».

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