Mika, il mondo spensierato di una popstar da fiaba

Nella colonna sonora ideale degli anni Zero lui non può mancare mai. Lui è Mika, alias Michael Holbrook Penniman Jr., 26 anni, terzo figlio di una famiglia di Beirut costretta a fuggire dal Libano martoriato dalla guerra civile nei primi anni Ottanta, il campionissimo incontrastato di quella che si potrebbe definire «canzonetta Prozac», di un pop cioè dal ritornello a presa rapida che dispensa buon umore a piene mani. Per farsene un'idea basta ascoltare Grace Kelly o Relax (Take it easy), le due hit-tormentone euforizzanti del disco d'esordio Life in cartoon motion, uscito tre anni fa (oltre sei milioni di esemplari venduti nell'era del download selvaggio non sono mica bruscolini…), che hanno trasformato il dinoccolato e riccioluto ragazzone con la malcelata passione per il cantato in falsetto nel novello divo della musica leggera internazionale. Divo o icona, fate voi, capace di riscuotere consensi bipartisan. Già, perché Mika (libanese di madre e americano di padre, ma cresciuto fra Parigi e Londra), nonostante possa apparire un progetto nato a tavolino, sembra piacere un po' a tutti: ai giovanissimi conquistati dall'immediatezza e dall'esuberanza dei suoi brani «a colori», ad ampi settori del mondo gay, sempre attenti all'emergere di nuove icone nel solco di Elton John e, soprattutto, di Freddie Mercury, indimenticato leader dei Queen a cui è stato da subito paragonato («È lui l'erede di Mercury», ha titolato a tutta pagina il britannico Independent), e persino all'esigente mondo del rock e al pubblico più attento alla qualità della proposta musicale. Visto in azione lo scorso anno al Franco Parenti con un riuscito show acustico, Mika (dalla sua un inizio di carriera frainteso, con l'etichetta di turno intenzionata a contrabbandarlo per l'ennesimo belloccio da tv, poi l'esplosione, grazie alla scelta di uscire dal gioco e proporre le prime canzoni soprattutto attraverso Internet) si ripropone stasera al Forum di Assago (ore 21.15, ingresso 50/30 euro; supporter Nesli) sulla scia del suo secondo album, The boy who knew too much (il titolo cita, storpiandolo, un vecchio film di Alfred Hitchcock), trainato dal singolo We are golden, una sorta di inno che sembra risentire della storia del suo autore, uno che da ragazzino si sentiva «diverso» e che ora esorta a non sentirsi inferiori. Se Life in cartoon motion è stato identificato come un inno giocoso all'infanzia, il nuovo lavoro rappresenta, per sua stessa ammissione, «una riflessione sull'identità, sull'adolescenza e sulla difficoltà che comporta crescere, su come le fiabe possano improvvisamente diventare incubi». Da qui i riferimenti ai film di Tim Burton, alle storie gotiche e alle pellicole di animazione della Disney.

In realtà, musicalmente parlando il nuovo Mika, che conferma un talento fuori del comune nello scrivere e cantare canzoni pop così come una tendenza all'eccesso negli arrangiamenti, è cambiato poco o nulla. D'altronde, come rinunciare al ritornello spacca-classifica e a quella spensieratezza un po' teatrale che ne hanno decretato la fortuna?

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