Milan, arriva Poulsen È la carica dei mastini

Preso il mediano «sputato» da Totti e che piaceva a mezza Europa. Oggi i duri sono più contesi dei fenomeni

Franco Ordine

Un tempo c’era il truce Furino e nessuno avrebbe fatto carte false per sottrarlo alla Juve e al suo rapporto trentennale con Madama. Un tempo c’era il martello Trapattoni che si occupava, da Eusebio a Pelè, di mettere i ceppi ai fuoriclasse in circolazione a nome e per conto della classe operaia italiana. Adesso, che il calcio è cambiato, ha perso romanticismo e assunto fatturati da mille e una notte, c’è una nuova razza, nobilitata dalle cifre e anche dal diverso spessore atletico, che prova a catturare la scena.
Appena Fabio Capello decise di lasciare la Roma per saltare sul treno che lo avrebbe portato a Torino, il primo sorriso fu per il ricongiungimento con Emerson detto il puma, il pilastro di cemento armato su cui decise di costruire la sua Juve. L’Inter del nuovo ciclo manciniano riuscì nel salto di qualità appena Branca e Oriali colsero al volo un argentino dal volto gentile, Esteban Cambiasso, liquidato a costo zero da quegli sciagurati del Real Madrid.
Lo stesso succede dalle parti di Milanello e forse c’è da meravigliarsi. Non per altro ma perché nel paziente assemblaggio firmato da Ancelotti, giudicata una specie di missione impossibile, furono privilegiati, in numero industriale, i virtuosi più che i cacciatori di caviglie. Gattuso è una delle rare eccezioni che conferma la regola della casa rossonera. E dietro Gattuso, si indovina con difficoltà (per via dei numerosi acciacchi muscolari ripetuti) la sagoma di Ambrosini, frenato da troppi infortuni.
Christian Poulsen, l’ultimo nome abbinato al prossimo Milan somiglia tutto ad Ambrosini. È un centrocampista di lotta e non di governo, è biondo come il marchigiano. Di diverso, anzi di curiosamente insolito, ha i dati anagrafici, è un danese, proviene dal campionato tedesco in disarmo economico (Schalke 04 l’attuale club, ha lasciato che scadesse il contratto) ed ha una serie di precedenti scomodi. Nell’europeo di Portogallo provocò lo sputo di Totti.
Più tardi, in Champions league, finì col segare i nervi di Kakà, applicandosi alla sua marcatura, con quella indolenza mista a provocazione che risulta insopportabile persino a un brasiliano timido e introverso. A Gelsenkirchen, per la prima volta, tutta la squadra del Milan, Ancelotti in testa, attesero al varco il biondo e gliene cantarono quattro. Gattuso fece un salto di qualità: nella sfida di ritorno a San Siro, decisiva per la qualificazione, raggiunto il traguardo, gli andò davanti a festeggiare, tenendo i pugni bassi e gridando in stretto calabrese.
Adesso che il Milan porterà a Milanello la controfigura danese di Ambrosini (perché Ambrosini non è in grado di garantire efficienza fisica in futuro), si rischia addirittura lo scandalo. «Ma come si permettono», chiosano dalle parti di Roma. «I giocatori del Milan sono contrari», informano da altre parti. Alla fine è necessario un intervento chiarificatore di Adriano Galliani per far notificare al popolo rossonero che a Milanello «è la società che decide gli acquisti» e che le mosse non si fanno muovendo «dalla simpatia ma dall’utilità del soggetto».
La confessione di Gattuso è l’ultimo tassello. «Ma lo sapete che la gente mi incontra e invece di chiedermi come sto, mi domanda, ma tu lo vuoi Poulsen? La mia risposta è una sola: non sono io che decido gli acquisti». Anche Ringhio sa della storia del pianoforte. Nel calcio, come nel rugby, c’è chi lo suona e chi lo sposta. Sono indispensabili gli uni e gli altri. Nel Milan il numero dei primi è dieci volte superiore a quello degli uomini di fatica. C’è bisogno di qualcuno che sia disposto a spostare il piano.

Anche se si chiama Poulsen, viene dalla Danimarca, ha qualche contenzioso con Totti e Gattuso. Al Milan arriva gratis. E per promettersi (seriamente) al Milan è pronto a rispondere picche al Villarreal, al Chelsea e al Real Madrid. Mica poco.

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