Milan e un campo tutto nuovo per far scivolare il Bayern

San Siro rizollato piace molto ad Ancelotti: «Esalta la nostra tecnica». Sul futuro: «Mi fido di Berlusconi». Sheva: «Sento dolore»

Franco Ordine

nostro inviato a Milanello

Italia-Germania, terzo tempo. Dopo il rovescio teutonico di Firenze e l’esito di ieri sera a Torino. «È discutibile l’analogia tra il calcio tedesco nazionale e il valore dei suoi club» sostiene sicuro Ancelotti che riprende l’analisi di Bierhoff, uno che lavora sul campo in Germania. «Hanno buoni giovani e pochi campioni esperti, stanno attraversando la transizione» ripete didascalico l’allenatore di Milanello riempito di coccole dal premier Silvio Berlusconi. C’è chi ha la faccia di chiedere se Carletto «si fida» delle parole di Berlusconi, come se non bastassero gli atti, la sua difesa dopo Istanbul. «Certo che mi fido, ogni giorno ricevo attestati di stima da lui e dalla società» incalza Ancelotti e avrebbe voglia di alzarsi e venir via dal salone del villaggio rossonero. Proviamo a giocare allora Italia-Germania atto terzo. Dalla parte del Milan spiccano tre vantaggi: 1) il risultato dell’andata; 2) il prato rizollato di San Siro («il migliore mai visto prima» sentenzia William Vecchi, preparatore dei portieri); 3) le sicurezze della squadra cementate da una bella serie di prove e risultati (tra campionato e secondo tempo dell’Allianz Arena). Per trasformare tutto ciò in un prezioso e prestigioso passaggio del turno, occorre però dell’altro. Molto altro, in verità. «A cominciare dal sostegno del pubblico» indovina Ancelotti e forse segnala un aspetto che non è da trascurare: l’esaurito è scontato da tempo, poco meno di ottantamila i biglietti venduti, incasso di quasi 5 miliardi del vecchio conio. Garantita la cornice delle magiche serate, allora. Ma neanche questo particolare assicura, da solo, la qualificazione.
«Dobbiamo farcela con le nostre forze, puntando tutto sulla tecnica» sintentizza Ancelotti che non risponde alle ipotesi di segno negativo, «e non per paura» spiega premuroso l’uomo che avverte le sane tensioni e non concede alla platea neanche un sorriso beato dei suoi. Così, sempre dalla parte del Milan, spuntano anche le insidie che si nascondono sotto il cielo di San Siro, stasera. Sono due: 1) l’incapacità di vivere facendo di conto e gestendo il pareggio; 2) lo stato di forma, insufficiente, di Shevchenko e Pirlo, uno martoriato dalla tendinite, l’altro penalizzato da tanti, troppi alti e bassi in stagione. «Proprio col Bayern ho segnato il mio primo gol in Champions league» informa l’asso di Kiev che ha la voce bassa oltre a quella fitta nel polpaccio che lo costringe a centellinare gli sforzi e gli allenamenti. «Sento sempre dolore» confessa Shevchenko risparmiato con l’Empoli e poi entrato col timbro giusto per dare alla vicenda la svolta giusta (gol del 2 a 0). Perciò, dopo lunga e attenta riflessione, la scelta più importante e più attesa di Carlo Ancelotti, riconduce tutti, il Milan e il Bayern, a fare i conti con l’elettricità di Pippo Inzaghi, l’incubo di Vieri e di Lippi in questi giorni, ma ai tempi non molti lontani della Champions league poi conquistata a Manchester l’eversore spettacolare dei tedeschi nella doppia sfida, a Monaco di Baviera e a San Siro. Inzaghi ha il piedino caldo, inventa gol a raffica, ha le spalle grosse per gestire le tensioni della Champions, con Sheva ha una collaudata intesa. «Solo nei primi mesi di Milano sono stato così in forma» ammette l’interessato. Non è una bocciatura di Gilardino, semmai è il tentativo di dare più profondità alla manovra, di tenere la difesa del Bayern coi nervi scoperti. E poi nel calcio chi ha le stelline ai piedi non si può mettere da parte.

È un premio fondamentale al responso recente del campo (meritocrazia al comando) mentre sul resto dello schieramento rossonero dominano le categorie, con Dida che riprende il suo posto in porta, con Vogel che s’attesta sull’argine di Gattuso (squalificato) aspettando d’incrociare Ballack, con Seedorf che promette d’aver superato piccoli acciacchi muscolari e di onorare le attese.

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