Il Milan ritrova Kakà e Ronaldinho per ricominciare la guerra all’Inter

MilanoIl duello rusticano, con Mourinho, continua. A distanza e in modo asimmetrico, naturalmente. Perchè il portoghese continua ad attaccare a testa bassa, viola le acque territoriali della polemica calcistica e s’inoltra sul personale («un allenatore può perdere tutto ma non la dignità professionale») mentre Ancelotti resta fedele al fioretto di una settimana prima che è poi il proposito strategico del Milan. «Non so a cosa si riferisca Mourinho ma gli passo un consiglio: non parli più del Milan fino al termine della stagione, non ne vale la pena, non serve» chiosa l’allenatore che ha il volto tirato e la voglia di capire l’indirizzo della frase rimbalzata da Appiano Gentile. Non gli suonano bene quelle parole: c’è qualcosa di inconfessato nel giudizio avvelenato del condottiero interista. Non suonano bene nemmeno all’ad Galliani: «Siamo stanchi di essere tirati in ballo da Mourinho», il messaggio passato al parigrado Ernesto Paolillo, segno che i fili tra Milan e Inter sono più che mai tesi.
Di mezzo, da qualunque verso si prenda la vicenda, c’è sempre la Champions e il mercoledì da gattini dell’Inter e del calcio italiano, pochi artigli e qualche miagolio. Perciò nell’intervento di Ancelotti, resta il sapore inconfondibile di un ennesimo fendente. «Sono convinto che sull’esito negativo della sfida Italia-Inghilterra di Champions abbia influito in modo determinante il timore con cui le nostre tre squadre hanno affrontato la partita d’andata» l’affondo del tecnico elogiato in pubblico da Ferguson. Più efficace la sintesi successiva: «Il segreto del nostro successo è stato uno soltanto: abbiamo affrontato le sfide di Champions con gioia e felicità». A proposito di Manchester: bisogna registrare una simpatica iniziativa di Carletto, una gustosa telefonata di ringraziamento al baronetto dello United, da realizzare lunedì, sbollita l’ira per il 4 a 1 subito ieri pomeriggio dal Liverpool.
E sempre in materia di Champions, Ancelotti rilancia le azioni del Milan. «Nel calcio si tende a dimenticare in fretta imprese e sconfitte, noi abbiamo realizzato qualcosa di straordinario e credo proprio che il nostro ciclo continuerà grazie alla filosofia del club e al senso di appartenenza. Qualcuno, come Paolo Maldini, smetterà ma ci saranno altri pronti a tramandare i grandi valori, tecnici e temperamentali, del club rossonero» la parte più impegnativa dell’Ancelotti pensiero di ieri. Manifestata proprio nel giorno in cui riprende la corsa al terzo posto, che è poi la garanzia per restare seduto sulla panchina e riprendere il duello rusticano con Mourinho. Che adesso resta sospeso all’esito delle ultime undici gare di campionato, da onorare fino in fondo («tutto torna in ballo, scudetto compreso» il suo pronostico) mentre l’emergenza volge al termine. Seedorf può prepararsi per Napoli, così Bonera, persino Gattuso sta bruciando le tappe e nel giro di un mese lo rivedrete correre sul prato verde, con l’entusiasmo di un ragazzino. «Il peggio è passato» ammette Ancelotti prima di volare verso il Chianti.
Si rivedono a Siena Ronaldinho e Kakà ed è questa la notizia più attraente del sabato rossonero seguita da quella, ancora più significativa, del tentativo di convincere Kakà a rompere gli indugi e presentarsi subito in campo, a Siena. E invece le resistenze del brasiliano han costretto il tecnico a puntare ancora su Beckham nel ruolo di trequartista pur senza avere nè le doti nè l’abitudine al ruolo. Così Kakà, più avanti di Dinho nella condizione fisica, può partire dalla panchina e ritagliarsi il ritorno all’attività dopo oltre un mese di assenza (l’infortunio datato 7 febbraio con la Reggina a San Siro) nel corso della ripresa. E che non si possano più commettere altri passi falsi lo si intuisce dall’ultima frase di Ancelotti, spalmata su una vigilia scandita da arsenico e vecchie rivalità tornate d’attualità. «È un turno delicato, dobbiamo mantenere il vantaggio su Genoa, Roma e Fiorentina anche se è complicato pensare di vincere a Siena» la sua ammissione passa attraverso le lodi di Filippo Inzaghi pronto a sventolare una maglia speciale con scritta particolare (“Inzaghi 300 e non sono presenze”).

«Ne vorrei una io, me la merito, l’ho fatto giocare anche quando non era presentabile ma lui mi ha ripagato con quei 5 gol in 3 finali» la chiusura del duello con Mourinho. Dai e dai, sempre a parlare di coppe, di quelle che luccicano in bacheca, si finisce.

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