Franco Ordine
nostro inviato a Milanello
Un tabù dopo laltro. Istanbul, dopo la rincorsa al primo successo utile del secondo semestre 2005. «È una città bellissima» filosofeggia Carlo Ancelotti che ha, come tutto il Milan, un nervo scoperto sul tema e una ferita nellanima che sanguina ancora dal 25 maggio. Per cancellare il primo tabù, sabato notte, contro il Siena che non è proprio lultimo della classe, ci fu bisogno di una prodezza balistica di Sheva impreziosita da una magia di Kakà, appena arrivato con il rinforzo Gattuso, dalla panchina a cementare lo schieramento in campo. Per esorcizzare il secondo, bisogna partire col piede giusto stasera, a San Siro, in coppa Campioni nel girone da tutti classificato come il più insidioso capitato alle tre sorelle dItalia (lUdinese è la cenerentola al debutto nel gran ballo). Lunga è la strada che può portare il Milan e Ancelotti a Parigi («ci proveremo») alla ricerca di una rivincita, inseguita come una ossessione, e avvertita come una specie di incubo collettivo rossonero: ma il primo passo è quasi fondamentale. Può contribuire a spazzar via incertezze e insicurezze che scavano dentro i cuori, più che nei muscoli, voragini autentiche. Confessa a un certo punto Ancelotti, tutto compunto, poco disposto alla battuta per via delle scudisciate che gli arrivano sulla schiena e che lui considera immeritate oltre che crudeli dopo quel po po accaduto il 25 maggio a Istanbul. Se pretende decorazioni, lo dica e qualche amico provvederà.
Bisticcio a parte, non è lunico «a non veder lora», per fortuna del Milan. Che gode ancora di sufficiente credito e di risorse tecniche e temperamentali per sostenere lassalto di una squadra temibile, il Fenerbahce di Istanbul appunto, team contaminato da molti brasiliani (Alex, per esempio) e sostenuto da qualche vecchia conoscenza del calcio italiano (Appiah) oltre che da quella furia scatenata di Anelka che, col PSG, procurò un giramento di testa a Roque Junior e a Zaccheroni. Dalle sue parti, in Turchia, la squadra guidata da un tedesco di buona fama, Daum, fa sfracelli. «Sarà più dura al ritorno per motivi ambientali» riferisce sicuro sempre Ancelotti e forse a dettargli la convinzione sono i racconti e i giudizi di Fatih Terim, limperatore che a Milanello non ebbe gran fortuna e neanche riuscì a riscuotere grande fiducia. Come il tecnico, e magari il popolo rossonero sotto choc per quel ribaltone, anche Bobo Vieri e Rino Gattuso non vedono lora. Entrambi per lo stesso, scontato motivo. Il primo esordisce nella stagione che conta dinanzi al suo pubblico, pronta la calda accoglienza della curva amica: prende il posto di Alberto Gilardino senza provocare scosse telluriche del settimo grado della scala Mercalli. Proviene da un paio di soste per saldare un vecchio conto disciplinare maturato ai tempi dellInter, viene accreditato di buona condizione, «sta bene ed è fresco» riferisce sicuro Ancelotti che sullargomento vuole giocare a carte scoperte. Stesso trattamento viene riservato a Gattuso, tenuto a riposo sabato a causa dello sfruttamento in nazionale ma stasera riconsegnato al suo ruolo di leader naturale, icona di un Milan generoso e operaio mai stanco di lottare. Per il suo sfogo a Coverciano, domani deve passare in via Turati a discutere con Adriano Galliani: è il segno della massima attenzione della società dinanzi ai disagi emersi di recente. Con lincubo Istanbul, il Milan continua a trascinarsi dietro anche la maledizione dei gol da calci piazzati. Sulla materia sdottorano in tanti. Ancelotti e Filippo Galli, un altro che se ne intende, sono concordi nel sentenziare: «È una questione di attenzione». Ci vuole allora un po di pressione sui giovanotti deputati al controllo.
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