Botte e fuoco ai negozi per chi non pagava: arrestati i taglieggiatori

In cella 13 malviventi che perseguitavano imprenditori e artigiani tra Varese e Milano

Botte e fuoco ai negozi per chi non pagava: arrestati i taglieggiatori

Taglieggiavano, intimidivano e vampirizzavano le risorse dei piccoli imprenditori. Usavano la violenza e gli incendi per convincere le vittime a pagare debiti saliti alle stelle. Chi per una difficoltà economica finiva in balia dell'organizzazione criminale, arrivava a sparire per il terrore e per evitare il peggio a sé e alla propria famiglia. La polizia ieri ha arrestato 13 persone accusate di associazione per delinquere, estorsioni, usura, lesioni personali, incendi, fabbricazione, detenzione e porto di molotov, furti in aziende, ricettazione, falsi documentali e spaccio di cocaina.

L'inchiesta, coordinata dal pm di Busto Arsizio Maria Cardellicchio e dall'aggiunto Luca D'Amico, è stata condotta dalla polizia di Busto Arsizio in collaborazione con la Squadra mobile di Varese guidata da Maurizio Greco. Gli arrestati agivano soprattutto nelle zone del basso Varesotto, dell'alto Milanese e del Comasco. Della provincia di Varese i due imprenditori, piegati con l'usura e le estorsioni, che hanno dato il via alle indagini con le loro denunce. Da qui la competenza della Questura con a capo Giovanni Pepè. Le vittime dei taglieggiatori subivano, come ricostruito dalle indagini, botte, agguati per strada e torture con sigarette spente sulla pelle. Era questo il metodo usato dall'organizzazione per costringerle a pagare. Sarebbero almeno dieci gli episodi di furto e di atti intimidatori ai danni di aziende e commercianti in particolare del settore dell'abbigliamento ricostruiti dagli inquirenti. Tra questi, un furto di gasolio in una ditta di Buscate, nel Milanese, uno in un'impresa di tessuti e cosmetici con sede a Milano e deposito a Tradate, vicino a Varese, e il trafugamento di parecchia borse firmate Bric's in provincia di Como.

L'attività presa di mira veniva prima depredata, poi spolpata con un prestito a tassi altissimi e data alle fiamme se il titolare non restituiva il denaro. A capo dell'organizzazione erano, secondo la Procura, Giovanni Parlapiano, detto «zio Gianni», e Antonino Pinto, detto «il moro». Entrambi pluripregiudicati, già arrestati in passato per fatti simili. Non risultano affiliati a gruppi mafiosi. Una delle vittime era un imprenditore della Valle Olona che dopo aver ottenuto un prestito di 120mila euro da un conoscente si è ritrovato nella rete degli indagati, cui il creditore aveva affidato il compito di riscuotere. In un'occasione il debitore è stato inseguito, bloccato in mezzo alla strada, trascinato fuori dall'auto e picchiato selvaggiamente fino a lussargli una spalla. Dopo l'ennesima aggressione, nel 2015, e l'incendio della sua macchina e di quella della compagna ha deciso di rivolgersi alla polizia. Il suo debito, con un tasso annuo del 50 per cento, era arrivato a 250mila euro.

«Bisogna portare 70-80 litri di gasolio - dicevano al telefono intercettati due degli indagati, preparando il blitz in un'altra ditta -. Prima butti tutto il gasolio, poi gli butti la benzina sopra e non lo spegni con l'acqua (l'incendio, ndr) perché c'è l'olio».

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