Bradburne è disilluso: sulla Grande Brera non prometto più nulla

I ritardi di Palazzo Citterio: «Non è idoneo a ospitare quadri, ma non dipende da me...»

Bradburne è disilluso: sulla Grande Brera non prometto più nulla

Una giornata di ordinaria amministrazione, a Brera. Ieri l'Accademia conferiva il diploma honoris causa al fotografo tedesco Thomas Demand, in un convegno sul tema The gentle art of fake, ovvero truffe, fuffe e affini che ruotano attorno al contemporaneo. Nelle stesse ore, in sala della Passione, Aldo Bassetti, 96 anni, indomito presidente dell'associazione Amici di Brera, presentava Una meraviglia chiamata Brera, un libercolo edito da Skira che racconta le gesta dei mecenati del museo dal 1926. Il colpaccio? L'acquisto, merito del conte Paolo Gerli e di Aldo Crespi, della Cena in Emmaus del Caravaggio: era il 39, subito dopo Mussolini chiuse l'associazione (troppi ebrei nel gruppo: riaprì nel 46). L'ultima fatica dei soci, oggi un migliaio: il restauro dei lampadari settecenteschi in cristallo di Boemia, che ora splendono nella sala Maria Teresa della Biblioteca Braidense. È solo quando incontri il direttore della Pinacoteca, James Bradburne, che capisci che l'ordinario difficilmente si declina da queste parti. Avrebbero dovuto essere i mesi decisivi per la Grande Brera questi, con l'apertura di Palazzo Citterio dove posizionare la collezione d'arte moderna e contemporanea.

«Non faccio più promesse, non mi piace deludere nessuno. La consegna è complessa», dice. Il paragone è con un pacco di Amazon tanto atteso: arriva, lo apri e osservi se è davvero ciò che avevi richiesto. «Ecco, noi siamo nella fase di valutazione di quel che ci è stato consegnato dice e per ora posso dire che Palazzo Citterio non è in grado di ospitare le opere, non è idoneo. Serve ancora tempo, dobbiamo essere elastici». Il tono non è polemico, ma disincantato circa le lungaggini che stanno accompagnando la gestazione dell'ampliamento. Che cosa manca? Il direttore cita l'impianto di climatizzazione necessario, e altro non è dato sapere se non che la consegna del palazzo non avverrà nei primi mesi dell'anno, come annunciato (a voler esser precisi il cartello dei lavori indicava agosto 2017 ). Dopo 40 anni di lavori, tra clamorose battute d'arresto e riprese, e ingenti investimenti (23 milioni per l'ultimo intervento), vedremo la Grande Brera entro l'anno? «Stiamo lavorando come pazzi: la destinazione è chiara, il tempo dipende da fattori che non sono nelle nostre mani», risponde il direttore. Il 2019 sarà un anno decisivo: annunciato il taglio di 2.3 milioni di euro di trasferimenti statali ai musei, resi più autonomi con la riforma Franceschini, che ora avranno la possibilità di tenere in cassa i proventi delle proprie attività. Stando all'ultimo rapporto di Federculture, Brera ha ricavi propri di oltre 3 milioni e mezzo di euro: basteranno? Il ruolo di sponsor e di associazioni come gli Amici di Brera sarà sempre più determinante. Il 2019 è anno decisivo anche perché scade il mandato dell'attuale direttore, l'anglo-canadese Bradburne che molto ha fatto per valorizzare la collezione del museo.

Gli sarà rinnovato l'incarico? «Leggo i giornali come voi», risponde ironico. I rapporti con il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli (che inizialmente aveva tuonato contro i direttori «non italiani») ora sono distesi, ma il futuro è un punto interrogativo.

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