Caccia al folle che spara per vendetta

Caccia al folle che spara per vendetta

La certezza consolidata per i carabinieri della compagnia di Sesto San Giovanni e per la Procura di Monza al momento è una sola, ma fondamentale: si cerca un feritore seriale, responsabile di tre tentativi di omicidio tra il 25 ottobre 2012 e il 26 gennaio 2014. «Probabilmente una persona psichicamente disturbata - spiega cauto un investigatore -, quasi sicuramente ormai ex detenuto del carcere di Bollate. Qualcuno che concertava di combinare un “affare” losco tra il laboratorio di rigenerazione e assemblaggio di telefonini della Sst, che si trova all'interno della casa circondariale e impiega numerosi carcerati, ma non è riuscito nel proprio intento. Comunque la chiave di questo mistero è lì, nel laboratorio di cellulari. E, proprio per ragioni legate a una qualche forma di problema mentale, non escludiamo che anche le date in cui sono stati compiuti gli agguati abbiano un significato per chi li ha messi a segno».
Sì perché ormai è chiaro che c'è un unico disegno (e quasi sicuramente anche una sola mano) dietro l'agguato dell'ingegner Umberto Pera, 47enne dipendente della Sst di Bellusco all'interno del carcere e colpito da uno sconosciuto con due proiettili calibro 9 a coscia e addome (il terzo colpo è finito nella portiera della vettura che la vittima stava guidando, ndr) mentre rientrava nella sua villetta di via Primula a Cusano Milanino, la sera di venerdì scorso, il 24 gennaio. Chi gli ha sparato sarebbe la stessa persona che il 17 gennaio 2013 ferì a Monza, gambizzandolo, Gaetano B., 52 anni, responsabile del trasporto dei cellulari dal laboratorio del carcere di Bollate alla sede della ditta e che quella sera, alle 17.45, stava guidando l'auto aziendale, fermo in coda a un semaforo. Il ferito seriale - che mira sempre e solo alle gambe e quindi non vuole uccidere ma forse solo «avvertire» o vendicarsi lasciando un suo particolare segno a firma del gesto - è quasi sicuramente anche l'uomo che, il 25 ottobre 2012, qualche minuto dopo le 17.30, a Milano, in via Cristina Belgioioso accoltellò all'inguine Roberto A., 35 anni. La vittima all'epoca insegnava ai detenuti il lavoro di assemblaggio dei telefonini all'interno del laboratorio della Sst sempre nel carcere di Bollate. Roberto A. spiegò agli investigatori del commissariato di Quarto Oggiaro che si occuparono del caso, come il suo aggressore, approfittando del buio (erano le 18.45), avesse atteso la sua uscita dalla casa circondariale per colpirlo all'improvviso e quindi fuggire a bordo di uno scooter con un complice. La sua versione dei fatti non convinse mai gli inquirenti. Soprattutto alla luce di un'altra aggressione, subita dal giovane uomo appena qualche giorno prima, mentre si accingeva ad aprire il box di casa: uno sconosciuto, infatti, lo aveva atteso e malmenato.
Resta inoltre quanto meno singolare un altro fatto accaduto il 9 ottobre 2012, qualche giorno prima del primo agguato. Quando un telefonino scomparso a Roma e di cui venne denunciato il furto nella Capitale, venne «ritrovato» a Milano in mano alla 18enne figlia di un agente della Penitenziaria di Bollate. In realtà il telefonino sparito era un modello Samsung S2 mentre la ragazza aveva un Samsung Galaxy S3. Solo il codice Imei (identificativo e univoco per ogni telefonino) dei due apparecchi era il medesimo: qualcuno l'aveva clonato.

E qui arriva la sorpresa: il poliziotto spiegò agli inquirenti che il telefono della figlia gli era stato regalato da un magazziniere della Sst. Ancora una volta, quindi, il carcere e il laboratorio di telefonia interno appaiono legati a filo doppio.

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