Chi è il medico oggi? Quanto conta il dialogo col paziente, e fino a che punto a questo si deve dire la cruda verità sulle sue possibilità di guarigione? Nonostante in Italia dal 1980 sia stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale che dà diritto ad assistenza sanitaria gratuita ad ogni cittadino, ci sono medici privati che hanno code di malati disposti o costretti (per evitare lunghe liste d'attesa) a pagare centinaia di euro per una visita. E il medico di famiglia, della mutua, oggi sembra aver ridotto drasticamente la sua funzione anche di consigliere, aiuto anzitutto umano e poi anche clinico. L'ultimo libro di Luigi Rainero Fassati, Un tempo per guarire (Salani Editore, Milano 2019. 245 pp) apre molte domande. Professore ordinario di Chirurgia generale, direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia Pediatrica all'Università di Milano, e direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dei trapianti della Fondazione Ospedale Maggiore, Fassati è una persona di straordinaria intelligenza e umiltà. Ha infatti risposto ieri ai numerosi interrogativi riguardanti il mondo della sanità che il suo libro propone, durante la presentazione svoltasi alla Libreria del Mondo Offeso. Si è parlato di dove sia arrivata oggi la medicina e di come i progressi scientifici abbiano da un lato indubbiamente migliorato le possibilità di guarigione di un paziente, dall'altro abbiano però allontanato il medico dal suo ruolo anche umano, di consigliere e supporto psicologico, creando un maggiore silenzio e distanza tra i due mondi, quello del curatore e del malato. I quattordici casi clinici che Fassati ha realmente trattato dal 1968 al 2014 e che sono riportati nel libro non spiegano solo le migliorie scientifiche a che la medicina ha raggiunto: il messaggio che sottende l'intero volume, infatti, è che il medico «dovrebbe anche essere sempre in grado di dialogare con i pazienti: mentre in Usa -dove Fassati ha lavorato molti anni n.d.r.- tendono a dire subito la verità senza maschere o velature, io ho maturato nell'esperienza l'importanza di accompagnare il malato, senza mai minimizzare i suoi problemi». E così il caso di Delfina, del 2017, uno dei vari raccontati nel libro: operata 20 anni prima a un cancro alla mammella, cinque anni dopo si era ripresentato. E anche a 10 anni successivi il primo intervento: alla fine la malata non era più stata accettata in alcun ospedale, e veniva seguita da casa con cure palliative. Si presenta da Fassati debole, esausta, e gli chiede di accompagnarla nello studio di un medico, Barthold Berger, che assiste malati terminali attraverso una vicinanza umana. Scettico verso questo tipo di cure, lui decide di assecondare comunque questo suo desiderio.
Per scoprire, alla fine, che Delfina aveva avuto ragione a scegliere di vivere in quella struttura i suoi ultimi mesi: aveva trovato armonia e calore, vicinanza e affetto in infermieri e gli altri pazienti. Dal tumore al seno, alla cataratta, all'epatite virale fino all'infarto e al tumore alla prostata, ogni caso riporta almeno due casi in diverse epoche.
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