di Carlo Maria Lomartire
Ormai è chiaro che Beppe Sala si è «montato» la testa, è evidente che ha spostato l'orizzonte del suo mandato elettorale dal livello metropolitano a quello nazionale, ormai gioca da aspirante leader seguendo l'esempio, finora poco incoraggiante, del predecessore Giuliano Pisapia. È una conseguenza della confusione e della debolezza che regnano nel Pd: todos caballeros. Sala è così distratto dai miraggi da leader che è arrivato ha trascurare il principale impegno elettorale, il risanamento delle periferie, da lui stesso definito «la mia ossessione». Un'ossessione dimenticata come gli rimprovera perfino un'importante parte della maggioranza, a cominciare dal segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati: alla sua richiesta di delegare un assessore alle Periferie (per il cui promesso risanamento il Comune ha già stanziato 356 milioni in 5 anni, soldi fermi nei cassetti) Sala ha risposto cambiando il dirigente alla sentite che sproloquio burocratico «Direzione di progetto, sviluppo e coordinamento strategico del piano per le periferie», rivendicando per sé la responsabilità politica, cioè di aver combinato nulla finora. Ma come reagisce l'opposizione di centrodestra che pure con Stefano Parisi ha sfiorato la vittoria - a questo sfaldamento della giunta e della maggioranza di centrosinistra a Palazzo Marino? Quasi non reagisce, o reagisce male, o poco: dichiarazioni di fuoco in consiglio comunale, qualche sporadica intervistina (molte meno delle intervistone che soprattutto i giornali simpatizzanti riservano a sindaco e assessori) e basta. Tutto qui. Non una manifestazione, non un corteo, non un convegno, non un evento se non si muovono i big nazionali. Non è una provocazione dire che il centrodestra milanese dovrebbe imparare dal centrosinistra come si fa l'opposizione: Pd e compagni riescono a farla perfino quando sono maggioranza, quando hanno il governo della città, come ha dimostrato il recente inutile e paradossale corteo pro-immigrazione contraddetto pochi giorni dopo dallo stesso promotore, l'ipercinetico Pierfrancesco Majorino anche lui con qualche velleità nazionale - con la richiesta al governo di mandare meno immigrati a Milano. Come ha reagito l'opposizione a una simile contraddizione che sopravanza di gran lunga il senso del ridicolo? Non ha reagito. O, quanto meno, non se ne è saputo nulla. Sappiamo bene quanto sia difficile mobilitare l'opinione pubblica moderata che non ama la piazza e non ama trombette, fischietti, tamburi, cori e strilli e non dispone di masse di immigrati da inquadrare. Ma è bene ricordare che moderato non vuol dire blando, moscio o addirittura pigro. Nick Clegg, uno dei fondatori del partito centrista Liberal Democrats britannico diceva che «essere moderati non significa essere accomodanti, ma intransigenti sui nostri valori moderati: anzi noi siamo degli estremisti, estremisti di centro». Alle prossime elezioni comunali mancano quattro anni, sempre che il subbuglio del Pd milanese sommato a quello del Pd nazionale non porti a una caduta della giunta e a elezioni anticipate. Non è da escludere.
In ogni caso è già il momento di cominciare a pensare a un programma e a un candidato sindaco del centrodestra, dando per scontate le ambizioni della Lega e le reazioni (solo reazioni?) di Forza Italia, abituata ad aspettare che la designazione arrivi da Arcore. Designazione che naturalmente tiene sempre conto di quanto si è mosso ed è emerso nel tessuto sociale e politico della città.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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