Un altro agente suicida. Questa volta è un poliziotto in servizio nel Cpr di via Corelli, ovvero il Centro di Permanenza per il Rimpatrio, la struttura che serve per il trattenimento di stranieri, volto all'identificazione e all'eventuale successiva espulsione. In un CPR si finisce senza aver commesso reati, ma solo per illecito amministrativo come mancato rinnovo del permesso di soggiorno o la perdita del lavoro. Il centro di via Corelli ha riaperto il 29 settembre 2020.
Poco dopo le 12 il poliziotto si sarebbe sparato un colpo con l'arma di ordinanza, ma non la sua. Ci sono molte ombre sulla tragica vicenda che ha per vittima l'agente stesso: due i punti cruciali. Sembra che l'agente fosse «sotto provvedimento», non disciplinare, e che quindi gli fosse stata ritirata la pistola d'ordinanza. Non solo, vista la situazione delicata, l'uomo non avrebbe nemmeno dovuto essere in servizio ieri mattina in via Corelli.
Secondo le prime ricostruzioni che saranno approfondite dalle indagini della Magistratura, sembra che l'agente non abbia usato la sua pistola per compiere il tragico gesto, visto che ne era temporaneamente sprovvisto, ma quella di un collega, ora indagato. Il problema? La celletta, quella dove si depositano le armi in dotazione, non era chiusa come avrebbe dovuto, cioè non era blindata. L'uomo, che evidentemente aveva intenzione di compiere il gesto, avrebbe quindi forzato la celletta impossessandosi dell'arma di un collega. Sparandosi intorno a mezzogiorno.
Il regolamento di sicurezza prevede che ogni agente abbia un armadietto personale dove depositare l'arma sotto chiave quando entra nella struttura, come avviene per esempio in carcere, che in via Corelli non sono blindate. Con un passe-partout si possono aprire facilmente.
Per i sindacati di polizia però «non è assolutamente accettabile che in un Cpr non sussistano le condizioni di sicurezza di base, tanto che così il Cpr non avrebbe dovuto aprire». Ma qui il tema della sicurezza scivola su più piani: da un lato le cellette non sono blindate, dall'altro quell'agente non avrebbe dovuto essere in servizio al Cpr e «a portata» di pistola. Sarebbe potuto accadere molto peggio in qualsiasi momento, visto che le armi, che dovrebbero essere inaccessibili a chiunque al Centro, così non sono. E se l'agente avesse avuto altre intenzioni? Ovvero in un attimo di «black out» avesse voluto compiere un gesto di violenza non verso se stesso ma verso altri? O, per esempio, per impedire che qualcuno tentasse di disarmarlo, essendosi accorto della situazione, gli avesse puntato l'arma contro?
Non solo, sembra che le condizioni di lavoro nel centro siano veramente stressanti, anche se nulla hanno a che fare con il suicidio del poliziotto: «Nessuno vuole andare a lavorare lì, tanto che gli agenti vengono mandati a turno, per distribuire il peso del servizio su tutto il corpo - spiegano ancora i sindacati - i clandestini lì detenuti si ribellano in continuazione, spaccano tutto, danno fuoco ai materassi, cercano di evadere. Lavorare al Cpr è un incubo per chiunque».
Intanto i segretari generali nazionali del Libero Sindacato di Polizia e
di Polizia Nuova Forza Democratica, preso atto della «piaga suicidi» che sta dilaniano il corpo, ultimo caso quello di Verona, hanno annunciano manifestazioni di protesta davanti al Ministero dell'Interno e alle Questure.
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