“Ehy, b-boy, ci siamo anche noi!”. Alla ricerca del lato femminile della breakdance

Gli sfidanti erano un centinaio, quasi esclusivamente ragazzi. Ma davvero la breakdance è un mondo esclusivamente maschile?

“Ehy, b-boy, ci siamo anche noi!”. Alla ricerca del lato femminile della breakdance

Ieri il Teatro Franco Parenti ha ospitato la Red Bull BC One, la più importante gara di breakdance uno contro uno al mondo. Gli sfidanti erano un centinaio, quasi esclusivamente ragazzi. Ma davvero la breakdance è un mondo esclusivamente maschile?

Non appena avvisto un gruppo di ragazze in tuta, mi avvicino per chiedere la loro opinione. “Siete qui per ballare?”, chiedo. No, nessuna di loro. Sono qui probabilmente per tifare per un amico, un fidanzato, un fratello. La stessa cosa si ripete altre volte, scovare una ragazza nella massa di tute è complicato, trovarne una che sia lì per gareggiare è quasi impossibile.

Finalmente incontro Sara, 22 anni, che, dopo un periodo come ballerina jazz, ha puntato sulla breakdance perché “mi sento più libera, mi diverto di più”. Mi spiega che nel suo gruppo ci sono solo due b-girls, e quando le chiedo se si sente svantaggiata a competere in un mondo di maschi mi risponde di no. “Il mio punto di riferimento è un uomo. Io voglio ballare come un uomo, non ho niente di meno rispetto a loro!”. Insomma, è un’attività maschile ma possono ballare anche le ragazze.

Dopo altri tentativi infruttuosi trovo Eka. Lei ha 37 anni, balla da dieci e precisa subito che “probabilmente qui dentro sono la più grande”. Ha una figlia di 6 anni, durante la gravidanza ha dovuto interrompere gli allenamenti e quando ha ripreso a ballare “non è stato facile. Perdi i tre quarti delle cose che sai fare, l’elasticità, l’equilibrio…”. Oggi è qui per gareggiare e accompagnare alcuni dei suoi ragazzi. A Bologna, dove vive, insegna in una scuola, ma “i miei ragazzi li faccio allenare per strada, perché io ho imparato lì”.

Ha molta esperienza, ne approfitto per chiederle cosa ne pensa del mondo “maschile” della breakdance e mi risponde con sicurezza: “Ci sono tre livelli. In America la breakdance è unisex, c’è il triplo delle b-girls. In Europa la break è più diffusa, ma in Italia la situazione è veramente critica: siamo pochissime”.

È questione di mentalità, e lei da mamma lo sa bene: mi racconta che negli Usa le gare sono organizzate per accogliere anche chi ha famiglia, con spazi in cui lasciare i bambini, mentre lei, che per essere a Milano ha dovuto affrontare ore di treno, si è dovuta organizzare con alcuni parenti a cui lasciare la bambina. “Non potevo portarla qui, non è un ambiente adatto, la musica è troppo alta!”. E ancora: “Ti pare giusto che facciano dei contest di b-girl con una giuria interamente maschile?? In America c’è sempre almeno una donna, qui sembra che le ragazze non siano in grado di far da giudici!”.

Da noi la breakdance è ancora considerata un mondo per uomini, le b-girls sono quasi un argomento tabù. È una questione di cultura, non di fisico: i passi base sono uguali per tutti, “sta a te decidere come ballare. Ad esempio, quando volteggi sulla testa: puoi farlo di potenza, come in genere fanno i maschi. Ma puoi anche basarti sull’equilibrio. Questo è più da ragazza”.

Quando le chiedo cosa cerca di insegnare alle ragazze della

sua scuola, mi risponde così: “Le b-girls esistono come tali, non devono necessariamente imitare gli uomini. Conosco ragazze che si sforzano di ballare come i b-boys, ma sono tremende, sembrano degli uomini! Non è giusto”.

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