Le lunghe zampe del danese, eleganti e slanciate, sono più dritte di quelle fasciate dagli stivali della sua compagna. Benché siano solo due. Quelle posteriori non si vedono, si intuiscono. Garrese e ginocchio. A far di conto, un'ottantina di centimetri. Quelli che contengono in altezza almeno due chihuahua. E invece ce n'è uno solo. Questione di zampe e di classe. Cani più esseri umani uguale Famiglia.
Gli scatti di Elliott Erwitt sono capolavori di ironia e tenerezza, non c'è nulla di scenografico. Non serve. «Di immagini se ne rubano tante - spiega il maestro - ma poche sono quelle che meritano perché se una foto non parla, non serve a nulla». E le sue dicono molto più di quanto non esprimano pagine e pagine scritte fitte fitte. «La fotografia non risolve i problemi sociali ma lascia riflettere» e davanti a quei clic in bianco e nero - così semplici e spontanei senza appariscenti messinscene - è impossibile lasciare le emozioni fuori dalla porta del Mudec dove l'esposizione ha aperto.
Solo un cuore di pietra come la lapide di Robert Capa, l'amico e mentore di Erwitt morto su una mina antiuomo in Vietnam, potrebbe non commuoversi nel guardare quella madre china sulla tomba del figlio. E non sorridere davanti a quell'alaskan malamute che per primo se la ride, disteso sul tappeto, per la gioia di... stare in famiglia è quasi proibito. Come la nostalgia di anni che furono. Assale, guardando quella nonna con calze e sandali accompagnare il nipotino in riva al mare. Tutta vestita. Pensare o piangere. Arlington, 1963. Jackie Kennedy e Bob ai funerali di JFK. Chiacchiere. Dolore. Storia stuprata. E gli incappucciati del Ku Klux Klan che mogli e soprattutto figli, ne hanno anche loro. Lo sguardo diventa cupo. Triste. Perché i cattivi spesso lo sono davvero.
Le sale che ospitano i clic di Erwitt sono un frullatore di sensazioni. Il distacco scompare come d'incanto perché in fondo ci si sente a casa tra scatti che fanno rabbia e altri con il sapore della poesia e di un'impolverata malinconia. Ritratti dell'istituzione famiglia, luogo - come pochi altri al mondo - capace di suscitare ira e amore a un tempo. Quelli del maestro sono scatti intimi tra prime e terze mogli incinte. Con bebè. In cucina o sul letto. E perfino il matrimonio della figlia di Nixon o il funerale di JFK diventano spaccati confidenziali per un uomo che ha fotografato tutti i presidenti americani che ha conosciuto e ha smesso solo oggi, a 91 anni suonati, per colpa di un leggero tremito che gli impedisce di premere lo scatto ma non di tornare a Milano, città di adozione.
Da Los Angeles alla Madonnina il viaggio è lungo ma la nostalgia ha battuto il jet lag. Erwitt figlio di genitori ebrei, ha vissuto qui fino al '38 quando le leggi razziali lo costrinsero a fuggire. Ha lasciato una cugina. Tornare è un tuffo nella nostalgia e in un idioma appannato ma non cancellato.
D'altronde, per sua stessa ammissione, la lingua che parla meglio è l'abbaio. In senso nobile, sia chiaro. Se sono tantissimi i cani che affollano le sue foto, non è un caso. Elliott non ha problemi di intesa con i migliori amici dell'uomo. Uno è perfino riuscito a farlo saltare in piedi. E naturalmente a fotografarlo. Raffinatezza di una persona che la vita l'ha vista tutta.
Attraverso il mirino di una macchina fotografica.Elliott Erwitt «Family» - Mudec (www.mudec.it), via Tortona 56 a Milano. Fino al 15 marzo 2020. Orari: lun 14.30-19.30. Martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30. Giovedì, sabato 9.30-22.30. Biglietti: 10 euro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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