Furti e degrado nel quartiere: «Ma nessuna bomba molotov»

Nessuna bomba molotov contro i rom di via Dione Cassio. E sono pronti a giurarlo non solo i poliziotti o i vigili del fuoco di piazzale Cuoco - peraltro mai intervenuti sul posto per fiamme o simili, come invece insistono i nomadi e alcune associazioni che li sostengono - ma anche i residenti di viale Ungheria. Che venerdì pomeriggio hanno manifestato pacificamente in un presidio davanti al supermercato «Billa» (e oggi alle 18 faranno il bis) esausti non solo per i numerosi furti sulle auto e la sporcizia di ogni genere lasciata in giro dagli oltre cento tra romeni e bulgari che da novembre, dopo lo sgombero di via Gatto, hanno occupato una società dismessa di trasporti e logistica tra i giardini di Taliate e via Salomone. Quel che in questa zona di periferia difficile ma laboriosa - qui ha sede la «Macallesi», storica società calcistica in cui mosse i primi passi Walter Zenga - fa più impressione è la situazione di estremo degrado in cui vivono i bambini e le donne dell'accampamento.
«Qualche mese fa abbiamo chiamato un'ambulanza per una rom che stava partorendo lungo la strada - spiega Thomas Mauri, 37 anni, titolare di una panetteria in viale Ungheria 10 -. Dove sono gli assistenti sociali? I bambini dei rom piangono in continuazione, si capisce che sono sofferenti...E le donne sono completamente succubi degli uomini del campo. Venerdì notte e sabato mattina io ero qui nel mio negozio, a lavorare. Bottiglie incendiarie contro il campo dopo il presidio? Ma se c'era un silenzio di tomba! Piuttosto, intorno alle 6, all'alba di sabato, un gruppo di ragazze che tornavano dalla discoteca “Amnesia“ sono venute di corsa nel mio negozio a prendere dell'acqua perché erano in fuga da un gruppo di rom incontrati per strada e che si erano messi a inseguirle».
«Non ne faccio un discorso politico. Ma se il Comune ha deciso di gestirli, che crei degli insediamenti come a Muggiano, decorosi e abitati da persone che lavorano! Siamo davanti a politicanti non a politici» sbotta Giovanni Bonanno, 50 anni, uno dei gestori del «Caffé Avenue». Il più duro è il contitolare dello stesso locale che, tra l'altro è romeno, il 40enne Daniel I.

«Noi romeni lavoriamo e riusciamo a integrarci. Nel campo ci sono solo parassiti. Pensi che si mettono alle spalle delle signore che giocano alle macchinette qui nel bar e, se vincono, le seguono in strada per rivendicare parte di quel denaro...».

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