Gazzarre, furti e rifiuti "Coi rom non si vive più"

Abitanti in rivolta contro i clan che occupano le case Aler. «Vivono come nei campi nomadi»

Gazzarre, furti  e rifiuti "Coi rom non si vive più"

Il primo ricordo è quello di una vigilia di Natale: «Mi hanno svegliato nel cuore della notte con le martellate: stavano smurando l'appartamento a fianco al mio per occuparlo». A parlare è Carmine, cuoco di origini lucane, uno dei pochi proprietari in via Ricciarelli 22. Assieme al civico 24 qui c'è il buco nero delle case Aler chiuse «a ghetto» in un rombo compreso tra via Civitali, via Paravia e via Dolci. Il quartiere, che va da San Siro e Gambara, guarda in faccia alle torri di City Life, ma la vita qui è molto diversa.

Case popolari sì, ma «una volta i dirimpettai dei civici dispari - insegnanti, impiegati di banca, la classe media del boom edilizio degli anni '70 - ci invidiavano perché noi avevamo il verde e il cortile». Per questo chi, come Carmine, aveva per anni beneficiato dell'alloggio, si era spinto a riscattare l'appartamento: «Se dovessi rivenderlo adesso perderei tutto e mi prenderei anche qualche insulto». Perché qui, invece, i fondamenti del diritto privato (proprietà, acquisto, vendita...) hanno cessato di essere qualche tempo fa. C'è la legge del più forte, del più furbo, del più veloce.

Entriamo nell'abitato: con l'indice cominciamo dal piano più in alto: «Il quarto è occupato, il terzo pure, il secondo anche. Poi da sinistra a destra: occupato, abusivi, abusivi... Qui al pian terreno c'era una signora anziana». Quando era ancora in ospedale, prima che morisse, «i figli hanno dato le chiavi a una coppia di stranieri», fingendo con l'Aler che questi fossero entrati e avessero cambiato la serratura, «mentre tutti nel palazzo sanno che sono stati loro a intascarsi 2 o 3mila euro per cedere l'appartamento», racconta una coinquilina.

Il rombo di via Ricciarelli è il teatro di una guerra tra poveri in cui a soccombere è la classe media: che novità. Ma l'emergenza vera è nata cinque o sei anni fa: quando un paio di clan di etnia rom hanno preso i primi bilocali al terzo piano. Fino ad allora c'erano state famiglie di nordafricani: donne velate, tanti bambini, gente fondamentalmente tranquilla. «Abusivi sì, ma come tanti italiani, almeno però non davano fastidio», commenta sconsolata la signora malata del secondo piano. Gli inquilini fanno coincidere l'inizio del degrado con la chiusura dei campi rom: «Qui loro vivono come se fossero ancora nel campo», afferma un'altra: gazzarra in piena notte, barbecue improvvisati, paccottiglia depositata ovunque, rifiuti abbandonati che sbordano sul marciapiede. Ora le famiglie sono molte di più: «Una quindicina in tutto».

Chiediamo ad un'altra signora di mostrarci cosa succede nel suo androne, la aspettiamo davanti al cancello che ormai rimane aperto giorno e notte. Lei entra abbassando la testa. Non può aiutarci: «Ho paura che mi vedano con voi e possano farmi qualcosa». Siamo all'omertà. È con Carmine che invece arriviamo dove l'occhio (e l'olfatto) non vorrebbero mai arrivare, alle cantine. Diventate giacigli improvvisati: una brandina - «me l'hanno rubata e mi minacciano se chiedo di riaverla» - coperta di teli logori, due attaccapanni a mo' di armadio, una tenda annerita ed ecco fatta la stanza. I meandri dei contatori sono depositi per ferraglia e bici rubate, nel migliore dei casi. Fogne a cielo aperto nel peggiore. Sulla centralina elettrica mozziconi di sigaretta e cartine di alluminio. Nel rombo di via Ricciarelli al degrado si aggiunge il via vai dello spaccio: al piano terra, riferiscono, vive un pregiudicato agli arresti domiciliari. Sui laterali del portone due fori: uno serve per passare le dosi, l'altro per ritirare l'incasso, come un bancomat.

La galleria potrebbe continuare, se non fossero gli stessi inquilini a cambiare discorso.

Se viene chiesto loro a cosa imputino la colpa di tutto questo, dei muri scrostati, della sporcizia, dell'abbandono rispondono: «A chi ha amministrato la città negli ultimi dieci anni». Inutile domandare chi abbiano votato il 4 marzo: senza fiatare aprono il palmo della mano mostrando con chiarezza il numero 5 (stelle).

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