Oltre 14mila spettatori, 2mila dei quali provenienti dall'estero. La «10 giorni live» del 63enne pianista e compositore torinese Ludovico Einaudi, in programma al Teatro Dal Verme da questa sera a domenica 17 dicembre (sempre alle 20), è giù un successo ancora prima di iniziare, anche perché tutti i concerti del campionissimo del pianismo strumentale tricolore sono già rigorosamente «sold out».
Perché Milano?
«Beh, Milano è la mia città d'adozione e qui ho vissuto più di 2/3 della mia vita. Sono venuto ad abitare qui approfittando della maggiore età e del fatto che c'era il conservatorio (dove sarebbe divenuto allievo di Luciano Berio, ndr). Il primo anno fui ospite di un amico in Porta Venezia, poi i miei genitori (il padre editore Giulio e la mamma Renata Aldrovandi, ndr) mi aiutarono con l'affitto di una mansarda in zona Porta Ticinese. In realtà, Milano era una città già familiare considerato che mia mamma è nata qui e, comunque, come testa mi sono sempre sentito più legato e più a mio agio e libero a Milano, che mi è sempre piaciuta per la sua apertura mentale».
E perché questi 10 giorni di fila?
«Quando sono in una città, prediligo fare concerti in residenza: installarmi in quel teatro, farlo mio. È quasi come occuparlo con la mia musica e le mie idee. In questo modo ho l'occasione di approfondire la qualità di quello che faccio - da solo e con il mio gruppo di musicisti - e anestetizzare i tanti problemi tecnici che si hanno quando si è in un tour».
La qualità degli ospiti ogni volta diversi, da Kazu Makino e Amedeo Pace dei pop-rocker d'avanguardia Blonde Redhead agli elettronicisti tedeschi Robert e Ronald Lippok, passando per il liutista-compositore olandese Jozef van Wissem, il sonatore di kora del Mali Ballaké Sissoko, l'artista sonoro e performer Tomoko Sauvage, l'attore shakespeariano e regista Jonathan Moore e l'Orchestra I Pomeriggi Musicali, tradiscono la volontà di rendere ogni show unico e speciale, è così?
«L'idea di base, che mi è venuta solo dopo aver saputo che i 10 concerti erano già sold out, è molto semplice: invitare ogni sera un musicista diverso con cui fare assieme una parte del concerto. La considero una vera e propria avventura alla quale ho voluto aggiungere un tocco di suspense: non annunciare mai quale sarà l'artista che si esibirà con me sul palcoscenico. Immaginate un pacchetto regalo, ecco, prima di aprirlo non si sa mai qual è la sorpresa, giusto?»
Volendo essere pignoli, sarà un doppio regalo
«In effetti, al termine di ogni mia esibizione, ho ideato - e Ponderosa ha messo a punto il cartellone -, 10 secret show, sempre all'interno del Dal Verme, riservati a chi già possiede il biglietto del concerto principale, che avranno per protagonista ogni volta uno dei miei ospiti».
Nessun intento autocelebrativo? L'anno prossimo saranno 30 anni dal suo primo disco, «Time Out»
«Assolutamente no, piuttosto vivo queste serate come un'avventura sperimentale. Ecco, se dovessi dire, la sperimentazione e la ricerca sono sempre state alla base del mio modo di comporre e di agire da musicista».
I ricordi più belli del 2017?
«Il mio concerto al Waldbühne, l'anfiteatro di Berlino opera dell'architetto del Führer Werner March e ispirato all'antica Grecia, è stato un'esperienza fortissima: 22 mila spettatori in religioso silenzio ad ascoltarmi. Ma mi sono anche molto gustato i 17 concerti del tour negli Stati Uniti».
Il più bel complimento ricevuto?
«La cosa che mi fa
sempre molto piacere è sapere che la mia musica rappresenta uno stimolo intellettuale per chi mi ascolta. Senza la tua musica non sarei riuscito a trovare la chiave per fare ciò che desideravo, mi hanno detto. È bellissimo».
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