Una cerchia di sospetti che si stringe sempre più, ogni ora che passa, inesorabile. Nessuna conferma o smentita ufficiale da parte degli inquirenti che, comprensibilmente, nelle ore febbrili precedenti la soluzione del giallo, la confessione di un assassino incastrato da prove incontrovertibili, non si sbilanciano mai. Affermare che l'assassino ha le ore contate può sembrare banale. Tuttavia che l'omicidio di Gianni Veronesi non fosse il risultato di una rapina finita male, ma un vero e proprio delitto d'impeto, è emerso quasi subito. Come un mosaico che si ricompone piano piano nella sua quasi ovvietà. E adesso è una certezza: chi ha ucciso l'orefice 74enne giovedì mattina nel suo negozio-studio di via dell'Orso 3 colpendolo alla testa 5 volte con un oggetto per il momento ancora sconosciuto (forse un soprammobile che l'assassino si è portato via, ndr) è qualcuno che lo conosceva. Qualcuno che ha inscenato il colpo fallito e poi ha strappato l'hard disc del circuito di telecamere interne. Dimostrando non solo di conoscerne l'esistenza, ma anche il fatto che fosse perfettamente funzionante. E che quei filmati quindi avrebbero potuto incastrarlo come persona ben nota al morto.
Ora quel sospettato sente sul collo il fiato dei carabinieri del nucleo investigativo. I militari, infatti, dopo aver sentito famigliari, amici, conoscenti, colleghi, vicini e clienti di Veronesi, sono alle prese da sabato con un paio di alibi che avevano cominciato a scricchiolare immediatamente. Cioè dopo i primi controlli incrociati con cellule telefoniche, filmati di telecamere, orari che non hanno trovato una conferma e versioni contrastanti. E ora l'attenzione è puntata solo su una sparuta manciata persone, forse meno.
Il movente potrebbe essere il denaro. Veronesi, che prima di aprire il suo negozio a Brera aveva un'attività simile in via Unione (zona via Torino), commerciava in gioielli d'epoca. Li riparava anche. Ed era conosciuto nel giro ristretto di coloro che si occupano di questo settore, commercianti come lui e, soprattutto, clienti. Vendeva, ma comprava anche.
L'orefice era persona perbene, ma molto cauta con il prossimo e, come tutti i commercianti di lungo corso, cortese ma circospetta con gli sconosciuti e di poche parole. Insomma, l'uomo non dava grande confidenza. I figli Guglielmo e Antonella, che commerciano in preziosi come il padre, lo hanno detto subito agli inquirenti. Da alcune indiscrezioni, tra l'altro, non si esclude che i carabinieri possano essere andati a colpo sicuro - interrogando a lungo e più volte determinate persone dagli alibi non proprio limpidi - perché, in qualche modo, il morto potrebbe aver avuto da dire con chi l'ha ucciso ancor prima della lite sfociata poi nell'omicidio di giovedì. Insomma: Veronesi potrebbe aver parlato con qualcuno a lui molto vicino dei dissapori che aveva avuto con una determinata persona. Un diverbio che l'altra mattina, quando l'orefice ha fatto entrare nuovamente quella stessa persona nel suo negozio-studio, si è riproposto in maniera più alterata, è degenerato fino a diventare una violentissima colluttazione per poi trascendere nell'assassinio.
Sembra però sia da escludere l'omicidio preterintenzionale. La scena del delitto fa pensare a qualcosa maturato lì per lì, inaspettatamente. La violenza dei colpi, però, non lascia dubbi: l'assassino voleva uccidere. E presto pagherà.
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