Preoccupazione è dir poco. Il mondo delle imprese guarda con sgomento e rabbia alla possibile introduzione - da parte del governo - di una tassa sugli imballaggi in plastica, settore che in Lombardia conta un terzo circa del suo giro d'affari.
Il viceministro dell'economia, il bergamasco Antonio Misiani, ha parlato nei giorni scorsi di una «rimodulazione» e di un confronto «con gli operatori interessati». Ma gli operatori sono letteralmente allarmati, e basterebbe fare due conti con loro per capire che una misura simile sarebbe un colpo mortale per il settore.
Un settore di grande importanza, oltretutto. Se in tutta Italia il comparto plastica conta circa 10.000 imprese, 162mila dipendenti e un fatturato di 32 miliardi, in Lombardia si parla di 3.490 aziende e 58mila addetti (...) Importante notare come un tributo esista già, il contributo ambientale Conai, che fra l'altro aumenta ogni anno e nel 2020 segnerà un nuovo pesante inasprimento. «Oggi 800mila fra produttori e utilizzatori versano questo contributo a sostegno delle aziende di raccolta, un tributo che aumenta costantemente. Nella fascia c, per esempio, passerà da 369 euro a 546 euro a tonnellata - spiega Michela Consonni della Viplastic di Bergamo, un'azienda con 35 dipendenti e 18 milioni di fatturato - Con una plastic tax per un euro al chilo, su ogni tonnellata si pagherebbero tasse per 1.546 euro, contro un costo della materia prima che oggi è sui 950 euro a tonnellata. Abnorme».
Confindustria Lombardia ha scritto a tutti i parlamentari eletti nella regione. «Non possiamo accettare - ha detto Marco Bonometti - questa forma vessatoria di imposizione che, per come è stata definita, avrà come unico effetto la cancellazione pressoché completa dell'intero settore di produzione, la perdita di oltre 50.000 posti di lavoro, l'aumento dei prezzi al consumatore e la penalizzazione della transizione verso l'economia circolare».
Unionplast e le altre associazioni di categoria parlano di una tassa contro l'ambiente, contro il lavoro, contro un materiale insostituibile, contro i Comuni e contro le famiglie, perché alla fine la plastic tax produrrà una stangata del 10% sul prezzo medio di prodotti di larghissimo consumo.
Viplastic dal 1964 produce film per imballaggi, che vengono usati per l'acqua per esempio, o per molti altri beni: «È il prodotto più igienico, economico e flessibile che esista - spiega Consonni - ed è interamente riciclabile. Un intervento del genere non si può fare in sei mesi, è demenziale, vuol dire uccidere le aziende, che stanno investendo sull'innovazione. Viplastic in 10 anni ha investito 8 milioni in macchinari nuovi, anche per risparmiare corrente e produrre film più tecnici e performanti, in modo da ridurre gli spessori dei materiali e quindi i consumi di plastica per l'utilizzato finale. Questa misura raddoppia gli aggravi per aziende che hanno già un'esposizione bancaria, rischi economici altissimi, alti costi di produzione, mi domando se chi l'ha pensata sa come lavora un'impresa». «Oltretutto - aggiunge l'imprenditrice - un'alternativa alla plastica non c'è, e certo non si converte una produzione in pochi mesi. Questi costi si scaricheranno sulle famiglie. Il solo annuncio della tassa ha bloccato il mercato, qualcuno ha già perso il 30%».
Il paradosso è che, per la categoria, la tassa non avrebbe alcun effetto benefico sull'ambiente, traducendosi solo in un modo per far cassa rapidamente.
«Occorre lavorare sul recupero e la raccolta differenziata, su azioni di sensibilizzazione, su tasse graduali affinché le aziende possano negli anni adattare o modificare i loro cicli produttivi. Questa tassa ucciderebbe tutto il settore con conseguenti licenziamenti».
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