È in aula, Filippo Penati. È uno degli ultimi atti di un processo lungo due anni. Ormai archiviata la carriera politica - lo scandalo del cosiddetto «sistema Sesto» lascia pochi spazi a un suo ritorno sulla scena pubblica, anche in caso di un'assoluzione -, l'ex presidente della Provincia assiste alla dura requisitoria del pm Franca Macchia. Tangenti, faccendieri, milioni di euro, contabilità estera, occupazione «militare» delle società pubbliche. Corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Perché Penati avrebbe incassato mazzette per almeno «3,5 milioni di euro» all'interno di un «vasto e diffuso sistema di tangenti» che prevedeva «un fiume di denaro» per soddisfare «le sue esigenze elettorali e quelle dei Ds milanesi». È il lato oscuro di un politico su cui i Democratici avevano puntato forte, e per il quale la Procura ora chiede una condanna a 4 anni di reclusione.
Filippo Penati - attacca il pm Macchia - nel gestire le vicende Milano-Serravalle e Pedemontana avrebbe dimostrato «voracità» ed esercitato una «occupazione manu militari» delle due società pubbliche. Ancora, l'ex inquilino di via Vivaio avrebbe fatto «mercimonio della funzione pubblica» usando per il cosiddetto «caso Codelfa» (relativo alla terza corsia dell'autostrada) il suo «uomo di fiducia Sarno». Secondo l'accusa, infatti, la società Codelfa (gruppo Gavio) con quell'appalto avrebbe ottenuto un profitto illecito di circa 18 milioni di euro e parte di quella somma, 2 milioni di euro, sarebbe stata poi versata attraverso una finta caparra immobiliare all'imprenditore Di Caterina che chiedeva a Penati la restituzione dei suoi presunti finanziamenti illeciti.
C'è poi la figura del'architetto Manuel Sarno, il presunto collettore delle tangenti per conto di Penati. Era lui, secondo il pm, a gestire «la sua contabilità occulta fatta di tangenti e finanziamenti illeciti», muovendo circa 5,3 milioni di euro tra la Svizzera, Londra e «strutture off shore». Nel computer dell'archietto, poi, venne ritrovato un file di excel risalente al luglio del 2009, e nel quale sarebbe stata indicata la somma di un milione e 398mila euro di presunti finanziamenti illeciti. Sarno, secondo il pm, «è l'uomo che gestisce i ritorni per Penati e annota la contabilità occulta delle somme relative ad appalti pubblici, procacciando i fondi per le sue campagne elettorali». Dalle rogatorie sui conti svizzeri di Sarno, ha spiegato il magistrato, «si evince che attraverso false fatture il faccendiere avrebbe trasferito ingenti somme all'estero che solo in parte sono finite sui conti svizzeri». In particolare, «sarebbero partiti circa 5,3 milioni di euro verso una società londinese, soldi che si sarebbero mossi su strutture off shore, e sui conti di Sarno ne sarebbero rientrati solo poco più della metà». Ancora, «se Penati, l'uomo del contante, ha soldi all'estero noi non lo sappiamo, non sappiamo se li ha dati tutti ai Ds ma sappiamo che Sarno è l'uomo dell'operatività finanziaria di Penati e solo l'architetto avrebbe potuto dirci dove sono andati quei soldi ma non l'ha fatto».
«Sono stupito e amareggiato, la richiesta della Procura è preconfezionata oltre che esagerata», è il commento di Penati
al termine dell'udienza. La requisitoria, ha concluos l'ex politico - «non tiene conto della verità emersa nel corso del processo in cui gli stessi miei accusatori, dopo essersi più volte contraddetti, hanno ritrattato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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