Virus, la rsa lombarda smonta le accuse: "No alla caccia alle streghe"

Alla "Brichetto" di Milano 37 anziani morti. La direzione respinge le accuse: "Mai presi pazienti Covid". E sui contagi: "Non abbiamo la bacchetta magica"

Foto di repertorio
Foto di repertorio

La domanda può apparire banale, ma centra il punto: "Se a causa del coronavirus muoiono giovani e anziani negli ospedali attrezzati, come si può pensare che non accada nelle Rsa?". A domandarselo è dottor Plinio Tuccia, Responsabile Sanitari della Rsa "Gerosa Brichetto" di via Mecenate a Milano, una delle tante strutture lombarde finite prima nel ciclone Covid- 19 e poi nel tritacarne mediatico. L’istituto conta 37 decessi dal 20 febbraio ad oggi, un dolore incolmabile se si pensa che normalmente durante tutto l’anno muoiono tra i 20 e i 25 ospiti sui 120 totali. Il virus è entrato, ha colpito, si è portato via delle vite. Era evitabile? "È impossibile immaginare una struttura di questo tipo come una campana di vetro dove tutti sono protetti dal virus. Nella situazione in cui ci troviamo, basta un solo contagiato e il resto viene di conseguenza. Quando l'infezione entra, l'unica cosa che si può fare è cercare di contenerla".

Torniamo al 20 febbraio, quando il Belpaese scopre che l’infezione "cinese" è ormai anche "italiana". In quei giorni Codogno viene blindata, ma il resto d’Italia - almeno per qualche giorno - resterà nel limbo di chi ancora considera l’evento circoscritto ad un focolaio e non l’epidemia diffusa che poi si dimostrerà essere. "Noi già dal 24 febbraio avevamo tutti i dispositivi di protezione richiesti dalla Regione Lombardia, tranne le mascherine FFP2- FFP3", assicura la direttrice Elena Lenassini. "Non abbiamo mai pensato di non farle indossare per 'non spaventare gli ospiti' perché non credo possano mettere in agitazione i pazienti". La direzione assicura di aver "fatto tutto il possibile mettendo in atto le disposizioni ricevute", comprese le istruzioni operative inviate il 23 febbraio dalla Regione sulla dotazione dei DPI e la sorveglianza sanitaria degli operatori nel settore sanitario e socio sanitario.

All'inizio tutto sembra scorrere senza problemi. Poi però il 16 marzo alcuni ospiti iniziano a manifestare i primi sintomi, due giorni dopo arrivano i risultati dei tamponi e alla Brichetto tutto cambia rapidamente: è l'inizio del contagio. La Protezione civile invia le FFP2 e FFP3 il 17 marzo, dal 20 marzo agli operatori viene misurata la temperatura corporea prima di entrare in turno e i positivi vengono isolati in un'ala della struttura. Ma si registrano i primi morti. I lutti, come sempre, si accompagnano alle inevitabili le polemiche e la residenza viene accusata di aver ospitato un paziente inviato dal Pio Albergo Trivulzio. "Ha tossito una notte intera, dopo 48 ore è morto e nel giro di pochi giorni i positivi al Covid erano già 15", scrive Repubblica. "Non è andata così – ribatte Tuccia - L’ospite proveniva da San Vittore, segnalato dal servizio sociale del Comune di Milano le sue condizioni cliniche controindicavano la permanenza in carcere come da relazione sanitaria del 9 gennaio poi confermata dal Magistrato di sorveglianza". In poche parole: "Non potevamo rifiutarci". "Il suo ingresso era previsto il 2 marzo - aggiunge Tuccia - ma lo abbiamo posticipato al 10, pretendendo la compilazione e la sottoscrizione della scheda di valutazione rischio Covid-19. Inoltre l’ospite “era in una stanza singola", "al tavolo in sala da pranzo mangiava da solo" e "non è vero che abbiamo consultato le famiglie per decidere se spostare le persone sane in hotel". E la circolare regionale che chiedeva alle rsa di ospitare pazienti Covid? "La nostra struttura non rispondeva alle caratteristiche indicate, quindi non ne abbiamo mai accolti".

Restano ovviamente i problemi. Ma anche il dolore per i 37 decessi, gli operatori che si ammalano ("circa il 40% è assente”), le difficoltà di comunicazione con le famiglie che non possono visitare gli anziani. E poi quella domanda che picchia ripetitiva sulla coscienza: si poteva evitare? "Puoi fare anche tutto perfettamente, ma non abbiamo la bacchetta magica", dice Tuccia. Intanto però la procura meneghina sta muovendo. "Il nostro primo pensiero riguarda la limitazione del contagio, e la sicurezza degli ospiti nonostante le indagini avviate sulle Rsa - prosegue il dottore - Questa è una situazione in cui tutti erano impreparati. Magari l'infezione l'ha portata un parente, un operatore o un fornitore prima che il 5 marzo venissero vietate le visite". Chi può dirlo? "Questo virus è subdolo, opporvisi è difficile. Degli 11 ospiti trovati positivi al tampone nei primi giorni, ne sono deceduti tre.

Invece altri anziani, che fino al giorno prima non avevano nessuna sintomatologia importante, hanno manifestato un peggioramento repentino e in poco tempo se ne sono andati". Era difficile prevederlo. E la speranza è che non parta una "caccia alle streghe".

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