Al più simpatico ed estroverso dei criminali passati per Milano piacevano le colline verdi dell'Oltrepò pavese. Il boss si chiamava Angelo Epaminonda, autore di aforismi indimenticabili («il giornale si chiama giornale perché giornalmente dice cazzate»), e quando venne arrestato impiegò mezza giornata a pentirsi, facendo arrestare tutti i suoi complici e un po di uomini dello Stato finiti sul suo libro paga. Nelle sue torrenziali confessioni raccontò anche dei suoi affari in Oltrepò, dove «il Tebano» si era innamorato del borgo di Rivanazzano, vecchia località termale sulle rive dello Staffora, dove comprava terreni, ville e marescialli dei carabinieri.
Ora, a trentacinque anni dalle confessioni di Epaminonda e a quattro dalla sua morte, torna alla ribalta l'uomo che a Rivanazzano fu il suo efficiente e rispettato ambasciatore. Si chiama Mariano Randazzo, ormai ha ottant'anni, ha pagato il suo conto con la giustizia al termine del maxiprocesso in cui i verbali del Tebano trascinarono anche lui. Ma la giustizia non si è rassegnata a considerarlo un innocuo pensionato del crimine, anche perché il suo tenore di vita appariva del tutto sproporzionati ai 900 euro targati Inps che costituiscono la sua unica entrata ufficiale. E Dia e Guardia di finanza hanno continuato a radiografarne gli affari.
Così, su richiesta del procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, ieri la sezione Misure di prevenzione del tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia, dispone la confisca delle due grandi ville nel verde di Rivanazzano che ospitano il vecchio Randazzo. Sono le ville che un anno fa erano state oggetto di un'incursione spettacolare, elicotteri compresi, da parte della Guardia di finanza. E che ora escono definitivamente dal patrimonio dell'ex colonnello di Epaminonda per entrare in quello dello Stato.
É un capitolo che si chiude. Basti pensare che a Rivanazzano Terme gli uomini del Tebano avevano impiantato anche una bisca, nel solco della passione del capo per il gioco d'azzardo e per i proventi, sostanziosi e in contanti, che venivano dal controllo dello chemin de fer. A gestirla era lui, Randazzo, che per questo si vide recapitare nel 1985 un nuovo mandato di cattura nel carcere dove stava già scontando una condanna per droga.
La eleganza e l'efficienza con cui aveva diretto per conto di Epaminonda la sala da gioco clandestina non avevano salvato Randazzo dalle rivelazioni del suo boss.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, e si è rarefatta l'eco delle imprese di Epaminonda e dei suoi «indiani», il mucchio selvaggio che si aggirava per Milano armato fino ai
denti e strafatto di coca per ammazzare con e senza motivo. Tolta una denuncia per droga nel 1990, Randazzo puntava a una serena vecchiaia. Ora la Dia gli porta via i frutti di una vita di lavoro. Perchè sempre lavoro è, no?
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