I panni stesi con estrema cura, i vasi di piante protetti e ordinati che l'avevano resa nota come «la giardiniera» del quartiere, il micione bianco e marrone ben pasciuto che ora, appollaiato sul balcone, guarda smarrito verso le immacolate tendine in macramé dell'appartamento al piano rialzato della palazzina di via Prima Strada 12, a San Felice di Segrate, sono dettagli che dicono molto della signora Egidia Mamoli, 66 anni. In particolare evidenziano la completa, totale inconsapevolezza di questa povera signora, un tempo titolare di un negozio di abbigliamento. Una donna che si ostinava a condurre un'esistenza normale, da pensionata serena, accanto a un marito (era la sua seconda moglie, ndr) che da tempo, purtroppo, non era più lo stesso. L'uomo, Pietro Donda, 75 anni, imprenditore ancora attivo nel settore della termoidraulica per appartamenti, ieri mattina, tra le 5 e le 6, ha messo in atto un tragico progetto, probabilmente pianificato da parecchio tempo, calcolando ogni particolare con cura. Così, con la sua pistola - una Smith & Wesson calibro 38 - ha sparato 2 volte alla schiena alla moglie che dormiva. Quindi, prima di puntarsi l'arma alla testa e togliersi la vita cadendo sul letto, accanto alla consorte, Donda ha appeso alla porta della stanza un cartello, scritto al computer in inchiostro rosso, indirizzato al domestico filippino che sarebbe arrivato in mattinata, pregandolo di non entrare e chiedendogli di avvisare subito Matteo, il figlio 40enne di primo letto, che abita a Milano, e i carabinieri. Tre lettere - una indirizzata proprio al figlio, un'altra agli amici e un testamento - sono state rinvenute sempre in camera da letto. Dal contenuto si comprendono le ragioni del gesto. Consumato da una depressione che, silente (non era mai stato in cura e non prendeva farmaci) ne aveva corroso le certezze più radicate, il signor Donda era convinto, erroneamente, di dover affrontare chissà quale disastro finanziario. In realtà non aveva debiti enormi, addirittura aveva in piedi ancora dei lavori, ma la diminuzione di commesse alla «Diemme impianti» lo preoccupava enormemente. Lo stress e l'angoscia per il lavoro avevano preso il sopravvento e l'uomo temeva un improbabile tracollo economico. «Sono un vigliacco - scrive Donda - Perdonatemi».
Qualcuno, tra i vicini, ha sentito il rumore dei tre spari, ma non si è allarmato, non ha nemmeno avuto l'ardire di pensare a una tragedia. La maggior parte non ha proprio udito nulla. «Qui, almeno di vista, ci conosciamo tutti - spiega Daniela M. che abita nella stessa strada, qualche civico più in là dei Donda -. La costruzione di queste palazzine immerse nel verde, che ricordano molto Milano 2, risale a circa 40 anni fa. Si tratta di costruzioni che appartenevano alle assicurazioni Generali e alla Fasc (Fondo agenti spedizionieri e corrieri). Inizialmente i residenti erano perlopiù in affitto, poi, pian piano, siamo diventati tutti proprietari. È una zona sicura e protetta. Però ciò che accade dentro ciascuna abitazione resta una questione riservata. Quel che posso dirle è che Donda aveva da poco preso in appalto i lavori di termoidraulica dello studio d'architettura di mia figlia, a Milano».
Intanto il figlio dei Donda si aggira attonito attorno all'abitazione dei genitori, immerso nel silenzio del dolore più cupo, fino a quando, alle 13.25, i cadaveri dei genitori, dopo i rilievi dei carabinieri della compagnia di San Donato, vengono portati via.
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