La «sparata» sulla Consob per indorare la sconfitta Ema

Carlo Maria Lomartire

C'era una volta a Milano il sindaco di Ferragosto. Era l'assessore che in quelle giornate sostituiva il primo cittadino in vacanza. Il rituale era sempre lo stesso: visita agli anziani del Pio Albergo Trivulzio, alla centrale della Polizia locale, ballo liscio al Castello e avanti così secondo tradizione, che prevedeva anche quella che i cronisti più maligni definivano «la sparata di Ferragosto», una dichiarazione, cioè, più o meno clamorosa con la quale l'assessore «sindaco di Ferragosto» si conquistava un po' di visibilità. Ma le vacanze estive non sono più le stesse, neanche a Milano, la città non si svuota più e a montare la guardia a Palazzo Marino magari è lo stesso sindaco, che perciò ha diritto alla «sparata di Ferragosto». E Beppe Sala ha fatto la sua: ha chiesto con forza al governo di trasferire la Consob, l'autorità di vigilanza della Borsa, da Roma a Milano, dove ha solo una sede secondaria operativa, «perché la finanza è milanese, non romana».

Argomento inoppugnabile, richiesta plausibilissima e ampiamente condivisa non solo dalla Lega la cui iniziativa fu bocciata da un voto parlamentare del partito trasversale di filo-Roma - come ha ricordato Roberto Maroni, ma anche, ai loro tempi e con i loro modi, da Gabriele Albertini e Letizia Moratti.

Il fatto è che questa perentoria richiesta di Sala oggi appare quasi pretestuosa, come la preparazione di un cerotto, di un lenitivo da porre sulla eventuale ferita (...)

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