Non sarebbe un cinico assassino, bensì un disperato aspirante omicida-suicida. Giuseppe Pellicanò, imputato per la strage di via Brioschi in cui per l'esplosione da lui causata morirono la moglie Micaela Masella e i giovani vicini di casa Chiara Magnamassa e Riccardo Maglianesi, fa appello alla Corte di cassazione. Lo scorso ottobre la Corte d'assise d'appello di Milano ha ridotto la condanna all'ergastolo inflittagli in primo grado a trent'anni di carcere. Ora l'uomo presenta attraverso il difensore, l'avvocato Alessandra Silvestri, il ricorso contro l'ultima sentenza. Sperando in un annullamento e, quindi, in un'assoluzione.
L'istanza di 55 pagine, avanzata circa un mese fa, insiste sulla condizione di incapacità di intendere e volere di Pellicanò al momento del gesto, finora mai riconosciuta dai giudici. La difesa contesta in più punti la decisione del gup, e poi della Corte, di non tenere conto della perizia psichiatrica degli esperti incaricati dal primo. Secondo cui l'imputato era affetto da una «depressione maggiore» che avrebbe fortemente determinato le sue azioni. L'avvocato concede che il giudice non è tenuto ad adeguarsi alle valutazioni dei periti. Ma sostiene che nel momento in cui non lo fa, deve motivare la scelta con argomenti altrettanto validi. In questo caso, scrive Silvestri, si è deciso «facendo ricorso non già alle regole della scienza ma a quelle di comune esperienza». Nel giudicare la natura e la gravità dei disturbi mentali dell'ex pubblicitario la Corte d'assise d'appello avrebbe commesso «marchiani errori scientifici», in contraddizione appunto con le diagnosi effettuate da diversi medici che hanno esaminato l'imputato. La presunta infermità sta alla base della tesi difensiva. Insieme a quella che viene definita una «cementata volontà suicida» di Pellicanò. Si citano «molteplici casi analoghi di omicidio-suicidio congiuntamente alla famiglia» che sono stati «ricondotti a disturbi depressivi spesso parzialmente silenti, poi esplosi (sic) in un ultimo, grandioso, gesto nell'espressione» del «delirio da rovina». Il «delirante rimedio» di morire con i propri cari sarebbe quindi un «classico» in tali circostanze, nella «volontà di risparmiare ai congiunti una sofferenza analoga» a quella che affligge l'omicida-aspirante suicida. In tutte queste vicende, si sottolinea, la prostrazione psichica dell'imputato è sempre stata riconosciuta. Nello specifico le cause principali sarebbero state, oltre alla fragilità del 53enne, la decisione della moglie di lasciarlo e i problemi di salute della figlia minore.
Un esempio degli «argomenti atecnici» usati dai giudici di primo e secondo grado sarebbe l'affermazione che Pellicanò «avesse inteso proteggersi dall'esplosione avvolgendosi in un materasso (visibilmente invece capovoltosi a causa dell'urto)». Una circostanza inverosimile, secondo l'avvocato, nonostante sia stata affermata (fin qui) in due gradi di giudizio: si va contro «l'ovvia considerazione che non è possibile proteggersi dal crollo di un palazzo mediante l'impiego di un materasso». Per i giudici, le ustioni riportate dall'uomo sono «compatibili con la presenza di una protezione durante l'evento esplosivo, protezione che ha salvaguardato completamente non solo la vita ma anche buona parte del corpo». Una «convinzione fantasiosa», insiste l'avvocato Silvestri, tanto è vero che Pellicanò ha riportato gravi ferite. La difesa contesta infine l'imputazione del reato di strage. Non sarebbe stata questa la finalità del 53enne, che al contrario voleva «solo» uccidere sé stesso e la propria famiglia. Si legge: Pellicanò pensava «con ragionevole certezza di poter morire mediante asfissia (...), giammai prefigurandosi la possibilità che potesse scaturire un'esplosione dalla predetta fuoriuscita (di gas, ndr)». Gravemente ustionate nel disastro rimasero pure le due bambine della coppia, ora affidate ai nonni materni.
I familiari di Micaela Masella, parti civili nel processo, sono assistiti dagli avvocati Antonella Calcaterra e Franco Rossi Galante. Anche la Procura generale ha presentato ricorso in Cassazione. L'udienza presso la Suprema corte non è stata fissata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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