«La Galleria per noi è il termometro della città: quando la città va bene la Galleria è viva e viceversa. Tu passi in Galleria e capisci come va la città. E poi è chiaro che in Galleria ci sono negozi ricchi, ma chi ci lavora in questi negozi? Far lavorare riunisce la città...». Così il sindaco Giuseppe Sala ieri all'inaugurazione del nuovo Bric's store in Galleria Vittorio Emanuele. Ognuno ha i suoi punti di riferimento, i punti cardinali a cui ispirare azioni e pensieri ma la Galleria si fa davvero fatica a pensarla come termometro di una città che in questi anni si è trasformata in una metropoli complessa, multiculturale, globalizzata che non si riconosce più nella milanesità di un tempo.
Certo resta un simbolo, quello sì. Resta un segno distintivo che nel mondo dà all'istante la certezza che si sta parlando di Milano, come il Duomo, la Scala, lo stadio di San Siro (sì, proprio quello che vogliono abbattere...). Ma il termometro no e sarebbe bastato farsi due passi dietro la Galleria per scoprire che le viuzze e le panchine sono la «casa» di tanti clochard.
Milano oggi è un'altra cosa, anzi tante altre cose difficili da tenere insieme. Evitando di ritornare sul «tormentone» delle periferie spesso ghetti dimenticati, pensare che la Galleria possa indicare la «temperatura» di come oggi si vive a Milano tradisce la logica delle decisioni di questa amministrazione. Milano è Milano anche fuori dal centro, dall'Area C e dall'Area B. Milano è una città dove i bambini respirano male sia nel centro storico, sia a Baggio e sia al Corvetto per dirla con un recente esempio del sindaco.
La Galleria è la Milano che tutti vorrebbero. Quella dove si specchiano i sogni di chi ogni mattina fa i conti con il degrado dei palazzoni popolari e quelli del sindaco che forse si illude che la sua città finisca lì. Ma così non è.
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