È un vaso di Pandora sul mondo del malaffare quello scoperchiato dalle indagini, cominciate nel 2010 dopo la denuncia dell'imprenditore Roberto Squillacioti e sfociate negli arresti di ieri. Squillacioti, vantando crediti nei confronti della Romeo Gestioni spa, società che gestiva parte del patrimonio immobiliare del Comune di Milano, si era visto porre da Grillone una lunga lista di «condizioni» da soddisfare in cambio di un'aiuto nel vedere sbloccati questi pagamenti.
AUTO, BARCA, TV E ASSEGNI
Luigi Mario Grillone aveva chiesto un «assegno mensile» di ben 5mila euro al mese per sua madre, Maria Luisa Russo, e un'altro per la stessa cifra per il fratello Roberto; l'assunzione dei questi e di un suo vecchio collaboratore, Domenico Demasi, alla società Giesse srl; il pagamento delle rate di leasing di una Porsche Cayenne completa di scheda carburante e di Telepass; un telefono cellulare e (non bastasse) anche il pagamento del relativo traffico; un televisore Lcd; due condizionatori; un contributo di 50mila per comprare una barca che ne vale 450mila.
L'EMINENZA GRIGIA
Era lui, Grillone, dirigente pubblico del Comune dal 2003 al 2011, la vera eminenza grigia dentro Palazzo Marino. Per questo era il più risoluto nel non voler figurare come socio nella «Professione Edilizia srl». Lo spiega durante una conversazione telefonica con un'amica: «Sono socio con scritture private e chiuso, capito? Perché se io poi faccio il dirigente pubblico non lo posso fare (...) Però non voglio avere paletti che non posso farlo perché sono un dirigente pubblico, cioè tutti hanno le società, il 90 per cento hanno tutti il doppio lavoro».
«FACCIO QUELLO CHE MIO PARE»
«Io sono in una situazione che faccio quello che cazzo mi pare e piace! Posso pure timbrare la mattina e torno la sera! E nessuno mi dice niente! Non mi rompe le palle nessuno! Comando io, punto e basta! Faccio quello che mi pare e piace!»: così parlava Giuseppe Amoroso. Secondo gli inquirenti, lui e l'altro dipendente comunale Angelo Russo rivestivano il ruolo di «amministratori di fatto» della società, attraverso un filo diretto quotidiano con l'unico titolare ufficiale Marco Volpi, «partecipando alle riunioni tra soci più volte a settimana, interessandosi di tutti gli aspetti gestionali». Attività che, appunto, li distoglievano «dallo svolgimento delle mansioni» e che, «in ragione della frequenza e del tempo dedicato a detta attività privata» li rendevano di fatto assenti. Motivo per il quale ai due è contestato anche il reato di truffa.
ESCORT E LOCALI: VITA DA NABABBI
L'assenza dal posto di lavoro non era dovuta solo agli affari. Dalle indagini sono emerse «centinaia di telefonate effettuate in orario di ufficio volte a concordare appuntamenti con donne dedite alla prostituzione». E anche gli incontri, scrive il gip Alfonsa Ferraro nell'ordinanza, avvenivano durante l'orario di lavoro. In generale, tanto Amoroso quanto Russo conducevano «un tenore di vita non adeguato in quanto più elevato delle loro condizioni reddituali». Almeno di quelle dichiarate.
Angelo Russo dopo la separazione dalla moglie era in affitto in «un appartamento che comporta un onere mensile di 1400 euro; Amoroso ha acquistato tra il 2013 e il 2014 due automobili e una motocicletta e ha cambiato casa».E timbrato il cartellino i due facevano davvero quel che volevano: comprese le uscite nei locali di corso Como.
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