Mille e una arte: a Villa Medici l'invasione dei tappeti volanti

In una mostra organizzata dall'Accademia di Francia si mettono a confronto antiche tessiture orientali con le opere di grandi maestri occidentali che ne hanno subito il fascino: da Benozzo Gozzoli a Alighiero Boetti, dai film relizzati con tecnica batik alle coperte degli indinai navajos

Tappeti volanti? Ci riuscì un anno fa uno studente di Princeton, che rivestì con un reticolo elettrico una vecchia stuoia e la fece alzare da terra di pochi centimetri. Sopra, c'era un piccolo criceto. E in qualche modo, a far decollare la fantasia, ci riescono pure le opere esposte fino al 16 settembre a Villa Medici. Tapis-Volants, si chiama così infatti la rassegna organizzata dall'accademia di Francia a Roma e dal Centre Pompidou di Parigi.
Scrive il curatore Philippe-Alain Michaud: «La mostra raccoglie e confronta tappeti reali che, attraverso la loro funzione, la loro tessitura o la loro composizione producono un effetto d'animazione delle superfici, con alcuni film, come quelli realizzati con la tecnica ornamentale del batik (Harry Smith, "Abstractions"), o con le composizioni monocrome ispirate ai tracciati lineari delle coperte navajos».
Ma che cos'è un tappeto volante? É una favola, un mito, però è anche la definizione della natura leggera e, appunto, volatile di un'opera dell'artigianato che nelle sue migliori espressioni diventa arte vera. La mostra romana è un viaggio dall'Est all'Ovest del mondo, tra passato e presente, tra realtà e metafora. La realtà quella degli splendidi tappeti orientali - decorativi, da preghiera, da guerra, di tappeti-giardino - provenienti dal Musèe del Tissus et des Arts Decoratifs di Lione, alternati alle opere occidentali - dipinti, arazzi, video e installazioni - ispirate alla poetica del volo. La metafora è quella del viaggio, come movimento, scambio e metamorfosi perenne.
Del resto tapis volants è un termine della tradizione orientale, associata all'idea di levitazione, magia e nomadismo. Il tappeto, tessuto arrotolato e successivamente srotolato, rappresenta la scrittura, la musica, la preghiera e la guerra. É l'oggetto del viaggio, la testimonianza della vita nomade. L'arte ne ha sempre subito il fascino. I tappeti compaiono già in Giotto, in Benozzo Gozzoli, nel Ghirlandaio, in Holbein il giovane, nella Venezia di Gentile Bellini e Lorenzo Lotto, che aveva traffici e negozi con il Bosforo.
Il rapporto si è consolidato nel ventesimo secolo. Da Klimt e la Secessione viennese a Matisse fino ai contemporanei.

E la rassegna di Villa Medici confronta antichi e rari capolavori orientali delle collezioni pubbliche francesi (Musée des Tissus de Lyon, Musée Jacquemart-André, Musée du Quai Branly) con le sculture e le installazioni di artisti americani, europei e mediorientali. Da Carl Andre a Zilvinas Kempinas, passando per Rebecca Digne e Pierre Malphettes, con la visual art di Marijke van Wanderdam, fino ai film di Stan Brakhage.

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