Roma - Giorgio Napolitano: stop agli emendamenti fuori tema sui decreti del governo. Mario Draghi: servono riforme per rilanciare l’occupazione perché il modello sociale europeo è praticamente morto. Nel giorno più difficile, quello della recessione confermata, il premier Mario Monti si è ritrovato con due alleati puntuali e politicamente pesanti.
Il richiamo del presidente della Repubblica riguarda ufficialmente il decreto Milleproroghe, sul quale ieri l’esecutivo è stato battuto due volte. Ma suona come una difesa del governo in vista di riforme ben più pesanti, in particolare quella del lavoro. Napolitano ha scritto ai presidenti del Senato e della Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, per chiedere uno stop agli emendamenti non omogenei alla natura della norma medesima. E tra le forze politiche, soprattutto nel Pd, nonostante il Quirinale non sia nuovo a richiami di questo tipo, la missiva è stata interpretata come l’inizio dell’era dei «decreti inemendabili».
In poco più di un mese dovrebbe arrivare la prova parlamentare più difficile per governo e maggioranza, cioè la riforma del lavoro. La trattativa è andata avanti ieri con il quinto tavolo governo-parti sociali. E proprio mentre sindacati e associazioni stavano per iniziare ad affrontare la riforma degli ammortizzatori sociali, è arrivato il richiamo del presidente della Banca centrale europea.
In un’intervista al Wall Street Journal Draghi ha detto che il welfare del Vecchio continente è praticamente morto. «Il modello sociale europeo non c’è più se vediamo i tassi di disoccupazione giovanile in alcuni paesi». Nel descrivere i mercati del lavoro che non funzionano, il presidente della Banca centrale europea ha fatto il ritratto dell’Italia: duale con giovani flessibili e gli altri protetti da un sistema fatto di rigidità e aumenti di reddito legati all’anzianità. Le riforme del lavoro, quindi, «sono necessarie».
Un sostegno, forse non del tutto volontario, al governo che proprio ieri ha affrontato il secondo round del confronto sul capitolo più rischioso, quello degli ammortizzatori sociali. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha esposto una tesi non molto diversa da quella di Draghi. Ci sono sette milioni di lavoratori che sono esclusi dagli ammortizzatori sociali. Quindi ha confermato i principi guida della riforma. I nuovi ammortizzatori riguarderanno una platea più ampia, ma saranno meno generosi. Il sistema è quello di una cassa integrazione che serve realmente a coprire periodi limitati. Poi una indennità di disoccupazione per gli altri. Si tratta di trovare una copertura per sussidi che riguardano in tutto 12 milioni di persone. E il conto non lo pagherà lo Stato. Unanime la richiesta dei sindacati al governo: fare chiarezza sulle risorse. Tema talmente delicato che ha spaccato il fronte delle imprese. Da una parte le grandi di Confindustria e dall’altra i piccoli. Il problema, ha sintetizzato il presidente dell’Alleanza delle cooperative, Luigi Marino, è la «equità tra contribuzione e prestazione».
La vera novità di ieri è che il periodo di transizione sarà molto più lungo del previsto. Il nuovo regime - ha riferito la Cgil - arriverà non nel 2013 come si pensava, ma nel 2017. Una concessione che non è bastata alle parti.
E l’unità di vedute ha favorito la pace tra i sindacati e Confindustria. La presidente Emma Marcegaglia, che martedì aveva accusato i sindacati di difendere i ladri, ha stretto la mano a Camusso e ha incassato un baciamano dal leader della Cisl Raffaele Bonanni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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