La minoranza rumorosa

Oggigiorno le manifestazioni sono fatte solo per noi, noi giornalisti, fotografi, cineoperatori, rilevatori di una realtà che è costruita solo al fine di essere rilevata. Un tempo le manifestazioni avevano una funzione democratica insostituibile: oggi sono perlopiù delle immense e coreografiche conferenze stampa, e il più scarso dei programmi televisivi che si occupi di politica, in una sola sera, ha maggior seguito della più clamorosa manifestazione inscenata in questo Paese da molti anni a questa parte. È da lustri che le minoranze rumorose non contano più, almeno non per strada. È da una vita che per capire l’aria che tira si rivela più utile il più malfatto dei sondaggi. I balletti delle cifre, poi, dopo ogni corteo, sono grotteschi: i manifestanti ormai si pesano, non si contano. Si è dato conto di manifestazioni dove c’erano quattro gatti: pensate a piazza Navona.

Il numero di partecipanti ormai è rilevante solo in termini di ordine pubblico, può essere interessante da un punto di vista sociale o sociologico, può essere un sensore dello spirito di un’epoca, può essere molte cose: ma un’opinione espressa in piazza, in termini strettamente democratici e numerici, vale come una che resti racchiusa tra le mura domestiche. Identicamente. Le manifestazioni possono servire a chi ci va, e la Storia in buona parte è stata scritta da coloro che sono scesi per strada. Ma la Storia, quella Storia, ha svoltato da un pezzo.

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