Mirò, in passerella la mannequin con curve generose

Alla guida dell’azienda piemontese c’è ora la terza generazione

Mirò, in passerella la mannequin  con curve generose

Nel 1955 Giuseppe Miroglio, che allora aveva già 69 anni ma nessuna intenzione di mettersi in pensione dopo avere fondato nel dopoguerra l'azienda tessile con il suo nome e avere ceduto proprio quell'anno il bastone di comando ai due figli Carlo e Franco, crea ad Alba uno stabilimento per la produzione di confezioni in serie. Lo chiama Vestebene: il marchio rappresenta una donna che indossa un abito lungo con lo strascico, quindi un abito da sera molto chic, ma in realtà l'azienda produce vestagliette alla portata di tutte le tasche. La sua filosofia è semplice: «Dove esiste un campanile, c'è una perpetua e quindi una donna da vestire». Cinquant'anni dopo, nel 2005, un altro Giuseppe Miroglio, il nipote trentatreenne che ha lo stesso nome del nonno, fa sfilare a Milano mannequin dalle taglie forti, oltre quindi la taglia 46, con il marchio «Elena Mirò», uno dei quindici marchi di quella che è diventata nel frattempo la divisione abbigliamento Vestebene del gruppo Miroglio. Ed è, spiega il giovane Giuseppe, «la prima volta in Europa nel fashion system, nel sistema moda».
Abiti pronti. A metà degli anni Cinquanta il vecchio Miroglio fa anche questo ragionamento oltre a quello del campanile: negli Stati Uniti l'80% delle donne americane si veste con abiti pronti, con abiti confezionati in serie. In Italia la percentuale non raggiunge nemmeno il 10%, quindi chi si lancia su quella strada ha un successo assicurato. Mezzo secolo più tardi il giovane Miroglio, che si muove con la benedizione del cugino Edoardo che è alla guida di tutto il gruppo e con il robusto appoggio di un manager di grande esperienza come Roberto Ronchi, il direttore generale sin dall'inizio alla Vestebene, fa questo ragionamento: negli Stati Uniti le taglie oltre il 46 rappresentano circa il 50% del mercato femminile mentre in Italia sono attorno al 30%. Livelli importanti di clientela ma da sempre esclusi da tutte le varie manifestazioni di moda. Senza un'immagine netta, anche se la Miroglio può fare conto sulla collezione Per te by Krizia disegnata da Mariuccia Mandelli per le taglie generose. E così, con l'aiuto di Mauro Davico, il responsabile della comunicazione della Miroglio, il giovane Giuseppe ha battagliato a lungo per potere partecipare alle sfilate femminili di Milano con modelle dalle curve giunoniche. Alla fine c'è riuscito, provocando una rivoluzione nel settore ma portando anche, dice, «una grossa ventata di novità» nella stessa Miroglio.
L’innovazione. Spesso il gruppo Miroglio, quartiere generale ad Alba (Cuneo), è andato a braccetto con l'innovazione. Spesso, non sempre. Così nel 1972 è tra i primi a delocalizzare la produzione nell'area mediterranea, dalla Grecia alla Tunisia e all'Egitto. È anche uno dei pochi a possedere l'intera filiera tessile: dalla produzione dei filati con ricerche e sviluppi innovativi nel settore (35 milioni di chili di filo) alla produzione di tutte le tipologie di tessuti, lana compresa (in totale 70 milioni di metri di tessuto), alla produzione e vendita dell'abbigliamento femminile. Capisce invece in ritardo l'importanza dei marchi nell'abbigliamento, preferendo dare fiato a filati e tessuti: così l'inizio della politica di marca risale solo ai primi anni Novanta con Caractére, quindi la Miroglio entra in ritardo rispetto alla concorrenza nel mondo delle collezioni. Ora l'abbigliamento è destinato ad avere sempre più peso, di fatto la Miroglio sta cambiando pelle: già adesso l'abbigliamento dà lavoro alla metà degli ottomila dipendenti del gruppo e rappresenta il 55% del fatturato consolidato che è di 907 milioni di euro. Quindici i marchi, da Motivi a Oltre, da Elena Mirò a Diana Gallesi. E quindici milioni i capi prodotti in un anno. Per il 20% sono realizzati nei sei stabilimenti di proprietà (tre in Tunisia, uno in Marocco, uno in Egitto ed uno a Bra, nei pressi di Alba, specializzato nei campionari), per tutto il resto sono prodotti da laboratori terzi specializzati in ogni parte del mondo, Cina e Turchia compresi. La Miroglio acquista il capo finito oppure fornisce il tessuto a terzisti. Oggi, dice il giovane Giuseppe, «il luogo di produzione non ha più la stessa importanza di una volta».
La terza generazione. Originario di Torino, classe 1972, occhi azzurri, tifoso della Juve, Giuseppe Miroglio è figlio di Carlo, ha una laurea in economia alla Cattolica di Milano, è entrato in azienda nel 1997, è stato due anni a Londra nel settore vendite della Vestebene, quindi ha cominciato ad occuparsi dei negozi della Elena Mirò prima di affiancare Roberto Ronchi alla direzione generale dell'abbigliamento. Ed è l'ultimo rappresentante della terza generazione dei Miroglio. All'inizio c'è Giuseppe, il fondatore scomparso nel 1979 a 93 anni; quindi i fratelli Carlo e Franco, entrambi oltre l'ottantina essendo il primo del 1922 e il secondo del 1924; poi sei esponenti della terza generazione. Vale a dire i tre figli di Franco: Edoardo, vicino alla cinquantina, numero uno dell’azienda, sposato con Ivana Brignolo, assessore alla cultura di Alba, proprietario di una splendida azienda agricola ad Alba, la Tenuta Carretta, e di un'altra in Bulgaria in grado di produrre 600mila bottiglie all'anno di vari tipi di vino; Nicoletta, responsabile di alcune linee di tessuti, e madre di un figlio, Francesco, già in azienda; un altro Giuseppe, comunemente chiamato Bepy, il quale fa l'antiquario. E i tre figli di Carlo: le gemelle Elena ed Elisa, una già sposata ma entrambe con posizioni di rilievo all'interno del gruppo, e il giovane Giuseppe il quale ha anche il suo bravo soprannome, Pinotu, che è il modo usato nelle Langhe per dire Giuseppe.
Il «sistema Zara». L'idea dei negozi nasce in seguito all'incontro tra Franco Miroglio, che ha a lungo gestito il gruppo, e Amancio Ortega, il patron di Zara che da tempo cercava di sbarcare in Italia. Tra i due gruppi non si realizza nessuna alleanza ma i Miroglio si ispirano proprio al sistema di Zara per i loro negozi. E cioè, spiega Giuseppe, «un sistema pronto moda, tutto in velocità, con i tempi ravvicinati rispetto alle esigenze del mercato». Di conseguenza ecco i primi negozi monomarca a partire dal 1993 con il marchio Motivi (prodotti destinati alle ragazze). Ed è solo alle soglie del Duemila che la spinta all'apertura di punti vendita subisce un'accelerata ampliando il campo anche ai multimarca in quanto, spiega Giuseppe, «è il multimarca a finanziare il retail». Oggi i negozi, in parte anche in franchising, sono in totale 900, di cui 600 in Italia e 300 all'estero, in particolare Europa, Russia e Medio Oriente. Tutti di abbigliamento femminile.
«Ne apriamo un centinaio all'anno», commenta Edoardo, il cugino che segue con particolare interesse l'impegno professionale di Giuseppe. Il marchio Motivi ha 370 negozi monomarca; Oltre (target femminile over i 30) ne ha 170; Caractère (target medio alto, raffinato) ha 34 monomarca oltre a 110 corner e 800 multimarca; Elena Mirò dispone di 170 boutique, 120 corner e 1100 multimarca. E nell'arco di tre anni il numero di 900 negozi è destinato a raddoppiare. Senza contare la partnership con i cinesi.
Il made in China. Quale partnership? Quella raggiunta, capitale diviso in parti uguali, con la Elegant Prosper di Shanghai, proprietaria di circa duecento negozi di abbigliamento in Cina. Marchio cinese, prodotto progettato e realizzato interamente in Cina ma con gusto occidentale. Spiega Giuseppe Miroglio: «I nostri sono abiti di fascia media, quindi non abbiamo una rinomanza mondiale come possono averla le case di moda. È quindi prematuro andare a vendere direttamente in Cina. Abbiamo così scelto un’altra soluzione: andiamo ad imparare cos'è il mercato cinese stando nel suo interno. E dal 2006 porteremo in Cina anche il marchio Elena Mirò aprendo una decina di negozi. Certo, non taglie forti ma taglie studiate appositamente per le conformazioni fisiche delle donne cinesi. Taglie realizzate con lo stile italiano».

Oggi, aggiunge Edoardo Miroglio, «il giro d'affari dell'abbigliamento è ottenuto per il 70% in Italia. Troppo. Dobbiamo quindi sviluppare le vendite all'estero. In Europa inizialmente, quindi in Russia e in Medio Oriente. La Miroglio cambia davvero pelle».
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