La moda degli elenchi, ecco quello dei libri

Altro che le liste di Fazio e Saviano. I critici italiani propongono i titoli più importanti pubblicati quest’anno Consigli per Natale, ma anche una radiografia della condizione letteraria ed editoriale del Paese. Con sorprese

La moda degli elenchi, ecco quello dei libri

Liste, liste, liste: è un nobile tormento. Non si parla d’altro. Quelle di Nick Hornby sulla musica pop, di Umberto Eco sullo scibile umano, di Fazio&Saviano su qualsiasi cosa faccia presa moralistica, e poi ancora: liste elettorali, civiche, della spesa e della spazzatura (a Napoli), degli evasori fiscali, degli Stati canaglia... E infine, non poteva mancare, la lista dei dieci capolavori letterari del 2010.

Quella di Michiko Kakutani, la critica più famosa d’America, è uscita venerdì, il «Black Friday» in cui gli americani comprano di tutto approfittando di saldi di ogni tipo, anche in libreria. E così la temutissima firma del New York Times ha pensato bene di consigliare le masse. Secondo Kakutani, quest’anno non dobbiamo perdere, tra gli altri, Life di Keith Richards, «ritratto indimenticabile dell’era in cui il rock’n roll ha raggiunto la maturità» (da poco uscito anche in Italia da Feltrinelli), le Lettere di Saul Bellow, Freedom di Jonathan Franzen, struggente romanzo su una famiglia disfunzionale della middle class americana, il liberatorio Tu non sei un gadget di Jaron Lanier (tradotto da noi per Mondadori) e I mille autunni di Jacob de Zoet di David Mitchell (uscito da Frassinelli)...

A questo punto, potevamo non andare alla ricerca di una simile lista made in Italy? Fermo restando che la primissima risposta di tutti i critici interpellati è stata «sul momento non ricordo nessun libro» (segnale molto preoccupante per la nostra letteratura), ecco cosa ci hanno infine rivelato.
«Eh, ma l’effetto negativo del lavoro di critico letterario è appunto che ci si dimentica dei titoli, senza per questo far torto a nessuno! Sono troppi! Troppi! - ci dice Alfonso Berardinelli. Ad ogni modo, pensandoci, negli ultimi mesi mi è molto piaciuto La natura precaria della libertà di Joachim Fest (Garzanti) e A cosa servono gli intellettuali? di George Scialabba (Pressed Wafer Press, non ancora tradotto da nio), un saggio dove si parla di Dwight MacDonald, Lionel Trilling, Irving Howe, Michael Walzer, Stanely Fish, Christopher Lasch, ma anche di Nicola Chiaromonte, Sciascia e Pasolini. Molto interessante. Aggiungerei Al paese dei libri di Paul Collins (Adelphi).

E Autopsia dell’ossessione di Walter Siti (Mondadori) e La marea umana di Franco Cordelli (Rizzoli), tutte e due insieme, poiché entrambi antiromanzi particolarmente coerenti, ossessivi, fatti con una materia che non si presta ad essere romanzata. Poi, come mancare la nuova traduzione di Renata Colorni della Montagna magica di Thomas Mann (Meridiani Mondadori)? Infine ecco due saggi: La forma del vivere. L’etica del gentiluomo e i moralisti italiani di Amedeo Quondam (il Mulino), una rivalutazione appassionata e competente dei nostri moralisti in alternativa a quelli francesi, e Riviera di Giorgio Ficara (Einaudi) per la straordinaria qualità della prosa costruita su una vastissima documentazione».

«Premetto - ci dice Andrea Cortellessa - che esistono anche le “classifiche qualità” di Pordenone Legge, per chi vuol farsi un’idea non appiattita da quello che impone il mercato. Venendo a me, ecco i miei dieci titoli per il 2010: i due romanzi di Siti e Cordelli, perché il fatto che due libri così diversi da tutto il resto siano usciti nello steso momento è un segnale di resistenza della letteratura, poi Ogni promessa di Andrea Bajani (Einaudi) e Europe central di William Vollmann (Mondadori), seguiti da tre poeti, Kamikaze (e altre persone) di Gian Maria Annovi (Transeuropa), Shelter di Marco Giovenale (Donzelli) e Varie ed eventuali di Edoardo Sanguneti (Feltrinelli). Aggiungerei Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri (Quodlibet) e due classici, oserei dire, postmoderni, entrambi suicidi, Paul Celan con Microliti (Zandonai) e David F. Wallace con Roger Federer come esperienza religiosa (Casagrande)».

Il critico Massimo Onofri, invece, non ha esitazioni: «Quest’anno abbiamo avuto un sacco di titoli buoni, tra cui ne spiccano di buonissimi, come l’inquietante romanzo di Alessandro Piperno Persecuzione (Mondadori), su cui non mi sorprende che ci siano state prese di posizione persino politiche, e XY di Sandro Veronesi (Fandango). Quest’ultimo non è certo un teorico, ma ha scritto un romanzo che è all’altezza del dibattito su questo genere che si tenne nel secolo scorso. Un romanzo sull’impossibilità del romanzo, nonché una meditazione, lo dico da laico, sul miracolo. XY è un libro che si infila in tutti quei problemi che i nostri romanzieri di solito scansano, perché scrivono facendo finta che non è accaduto niente prima di loro. Non dimentichiamo poi i romanzi di Pennacchi (Canale Mussolini, Mondadori) e Silvia Avallone (Acciaio, Rizzoli). Il primo scrive avendo alle spalle il Novecento, ma è tutt’altro che un attardato epigono, è quasi un redivivo Bacchelli; la seconda ha scontato accuse pretestuose in quanto oggetto di marketing, ma ha scritto un libro certo emendabile e con un finale discutibile, ma comunque molto buono».

«Capolavori sottomano non ne ho - ci dice allegro e ironico Ermanno Paccagnini - oltretutto non leggo gli “acclarati” e preferisco rivolgermi a nomi nuovi, tra cui mi sento di consigliare: Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo (Nutrimenti), Il sorriso lento di Caterina Bonvicini (Garzanti), Racconti sgradevoli di Jole Zanetti (Garzanti) a cui aggiungo Milano è una selva oscura di Laura Pariani (Einaudi) e Le cose fondamentali di Tiziano Scarpa (Einaudi), anche se preferisco Stabat Mater. Mi sto deliziando poi con il carteggio di Grazia Deledda Amore lontano.

Lettere al gigante biondo (1891-1909) pubblicato da Feltrinelli con una ragguardevole prefazione di Anna Folli. Certo, ora tutti parlano di Andrea Bajani e Nicola Lagioia, ma avrei preferito vederli recensiti anni fa, quando scrivere su di loro, come facevo io, era una scommessa, mica un attività di gruppo».

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