C'è una parola, molto anziana, che persasi e ritrovatasi in non si sa quali tornanti della storia, è infine riemersa attraverso le pagine e i profili social più seguiti e moderni. Ma soprattutto alla moda. Una parola nata per essere fraintesa e il cui successo attuale è, almeno in parte, frutto di fraintendimento. Una parola amata dai remuneratissimi influencer dello stile, ma che probabilmente - perché tutto è una pericolante ipotesi a proposito di essa - nasce da un aristocratico spregio nei confronti del denaro e del valore economico che viene appioppato alle cose: sprezzatura. A chiunque sia capitato - per gioco, per lavoro o per sbaglio - di infilare il naso nel mondo della moda maschile, questa parola non può non essere giunta al suo orecchio. Con una gamma di significati spesso differenti e talvolta contrastanti tra loro, perché la parola si presta volentieri al camuffamento, al travestimento e al travisamento, ma anche perché è in continua evoluzione.
Diciamo, molto vagamente, che il significato rotola giù in quel declivio dove la moda si confonde con gli stati d'animo e le attitudini comportamentali. Perché, nel 2024, sprezzatura è un tag sempre valido per ogni post a corredo di una giacca sartoriale o di un tessuto di tweed, una parola internazionale profondamente legata a una nazione - la nostra - rimasta però senza patria, se non quella dei reel di Instagram e delle stories dedicate alle ultime tendenze.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa significa, realmente, sprezzatura? Ecco la prima voce del dizionario Treccani: «L'essere, il mostrarsi sprezzante». Fin qui è tutto piuttosto intuitivo, ma la definizione non calza a pennello con quella attualmente in circolazione. Facciamo un altro passo indietro, seconda voce del vocabolario: «Atteggiamento ostentatamente disinvolto, di studiata noncuranza da parte di chi si sente molto sicuro di sé e dei propri mezzi». Per comprendere meglio una parola così social e trend topic, dunque, ci conviene fare un salto nel passato, precisamente nel 1528. L'umanista Baldassarre Castiglione nel suo Cortegiano (1528, appunto) battezza così il termine: «Trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcun altra: e cioè fuggir quanto più si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. Però si po dire quella essere vera arte, che non pare essere arte; né più in altro si ha da poner studio che nella nasconderla: perché, se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l'omo poco estimato».
Da Baldassarre Castiglione a Lino Ieluzzi, commerciante di abbigliamento e star social del mondo della moda maschile, il passo è brevissimo. Cinquecento anni che si accorciano nel velocissimo scroll dello schermo di uno smartphone.
La sprezzatura, quindi, è l'eleganza naturale e non ostentata, il contrario dell'affettazione e, per inciso, il contrario di molto di ciò che si vede sui social media e che troppo spesso viene derubricato proprio sotto la voce sprezzatura. Sprezzatura, talvolta, da contrario diventa sinonimo di overdressing: cioè ostentazione di eleganza e di ricchezza, eccesso di ornamenti e di studiatissima ricercatezza.
Ma, al netto delle critiche, il termine negli ultimi dieci anni ha raccolto tanto successo quanto ha accresciuto i suoi molteplici significati, anche al di là della lingua italiana.
«Questa bella parola ha una sorte davvero straordinaria: in Italia è quasi del tutto negletta, mentre all'estero ruggisce, fra marchi d'imprese e blog e riviste di moda -
percepita come portatrice di un concetto intraducibile, e vera cifra dell'italianità», scrive il sito «Una parola al giorno». Insomma un successo tricolore che però nessuno rivendica, con grande sprezzatura, in un certo senso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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