Storie di famiglia. I segreti delle grandi case della moda italiana

Si considerano i custodi del tempo: da Mario Prada che spingeva le figlie un transatlantico a vestirsi di nero alle scelte di Luisa Spagnoli

Storie di famiglia. I segreti delle grandi case della moda italiana

L'eleganza italiana è un affare di famiglia fin dalla notte dei tempi. Ci sono aziende come la Luxury Jersey di Federico Boselli che ha sede nello stesso edificio di Garbagnate Monastero in provincia di Lecco dove nel XVI secolo i suoi antenati facevano la trattura della seta. Il procedimento consiste nel dipanare in acqua bollente i bozzoli prodotti dal baco da seta, ovvero le larve di una falena cinese chiamata Bombyx Mori in omaggio a Ludovico il Moro che fece nascere l'industria serica italiana sulle rive del Lago di Como. L'avventura continuò fino al 1870 quando fu fondata la Fratelli Boselli di Alfonso che aggiunse al procedimento la torcitura, un altro passaggio fondamentale per produrre seta. Bisogna arrivare fino alla fine degli anni '50 per assistere alla nascita del Gruppo guidato da Mario Boselli che diversifica la produzione tra filati, tessuti e confezioni. Purtroppo solo il 35% delle imprese mantiene la stessa proprietà nel passaggio del testimone dai padri ai figli e la percentuale scende al 15% quando entrano in scena i nipoti. Visto che così facendo si perde l'identità del progetto, la moda ha il buon senso di cautelarsi.

I Ferragamo, per esempio, hanno istituito la regola del tre: solo tre dei membri della terza generazione possono entrare in azienda dopo aver lavorato almeno tre anni altrove. Invece Nicoletta Spagnoli, bisnipote della mitica Luisa fondatrice della storica azienda di Perugia che nel 2028 festeggerà il centenario, stava facendo un dottorato di ricerca in chimica negli Stati Uniti quando il padre la richiamò d'ufficio a casa per farle fare prima un corso di figurino e poi tutte le tappe di una dura gavetta in azienda. Alla fine le affidò la responsabilità di tutta la Luisa Spagnoli che lei ha egregiamente guidato da sola fino al recente ingresso del figlio Nicola Barbarani Spagnoli nella compagine manageriale.

In casa Zegna e soprattutto da Max Mara non ci sono regole tranne quelle dell'inclinazione personale: chi vuole e sa fare qualcosa di utile entra del clan, gli altri continuano a farne parte per nascita. È un modello che funziona un po' per tutti, anche se poi intervengono altri fattori. Per esempio nel 2018 la famiglia Missoni ha ceduto il 41 % delle azioni al Fondo Strategico Italiano e Angela Missoni, per anni direttrice creativa del brand fondato dai suoi genitori nel 1953, si è ritirata in buon ordine per agevolare il cambio di passo. Peccato che per sostituirla sia stato chiamato prima il suo ex braccio destro Alberto Caliri, poi Filippo Grazioli che due settimane ha lasciato di nuovo il posto a Caliri. Nel frattempo la figlia maggiore di Angela, Margherita Maccapani Missoni, ha lanciato una linea di abbigliamento e accessori per giovani in cui è entrato con una quota di minoranza Nessifashion, la holding creata da Marco Bizzarri l'ex super ceo di Gucci.

Tutt'altra storia da Prada fondata nel 1913 dal nonno di Miuccia, Mario, ma trasformata in impero del lusso dalla geniale guida imprenditoriale di suo marito, Patrizio Bertelli. Le origini sono quanto mai fascinose perché Mario Prada era un uomo eccentrico e molto chic che durante un viaggio in transatlantico verso l'America con le due figlie le costrinse a vestire di nero dalla testa ai piedi teorizzando che in caso di naufragio gli squali non le avrebbero assalite. Molto più pragmatico patron Bertelli ha ceduto la sua poltrona di amministratore delegato a un super manager come Andrea Guerra affidandogli anche il compito d'insegnare i trucchi del mestiere al figlio Lorenzo, erede designato alla guida del Gruppo. Ben diverso il destino della famiglia Rivetti che comincia il suo cammino nel mondo del tessile nella seconda metà del '700. Nel 1872 viene fondato a Biella un lanificio che poi sarebbe diventato il Gruppo Finanziario Tessile di Torino, agli inizi del XX secolo la più grande azienda italiana, più grande perfino della Fiat. Furono i Rivetti a spiegare a Mussolini che per favorire le esportazioni dei tessuti italiani nel mondo bisognava far passare la Milano-Torino da Biella. Ecco perché la prima autostrada costruita in Italia non corre in linea retta. «La storia della mia famiglia marcia in parallelo con quella del nostro Paese» dice Carlo Rivetti, capostipite dell'ottava generazione d'imprenditori tanto geniali quanto sfortunati. Suo nonno Adolfo detto Delfo, morì d'infarto nel letto di Wanda Osiris ad appena 39 anni mentre suo padre misurò 25 mila italiani per mettere a punto il sistema delle taglie nel nostro Paese e suo cugino, Marco Rivetti, ha di fatto inventato il prét à porter italiano prima di essere stroncato da un male incurabile in giovane età. Con lui l'Italia avrebbe potuto avere un potente conglomerato del lusso come il Gruppo LVMH (Louis Vuitton Moet Hennessy) fondato in Francia da Bernard Arnault. Quest'ultimo ama definirsi «custode del tempo» perché l'età aggregata delle maison che controlla è 8300 anni e tra le più antiche case di moda del Gruppo ci sono Fendi che nel 2025 festeggerà 100 anni di successi più che meritati e Loro Piana che sta per concludere un anno di festeggiamenti del centenario.

Gianni Agnelli diceva che si può fare tutto ma la famiglia non si può smembrare e la triste vicenda dell'eredità contesa tra sua figlia Margherita e i suoi nipoti Elkann dimostra quanto avesse ragione. Ancora più importante la lezione impartita da Alda Fendi alle cinque figlie. «Insieme diceva siete come le dita di una mano: forti e capaci di far tutto. Se vi dividete non avete molte possibilità».

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