In Bangladesh si è scatenata una feroce polemica a causa dell’uscita di un film su una “surfista donna”.
La pellicola in questione, spiega Al Jazeera, si intitola No Dorai (Senza paura) e narra la storia di una ragazza povera di nome Ayesha che coltiva il suo amore per il surf andando contro i pregiudizi maschilisti radicati nel Paese a maggioranza islamica, in cui le donne trovano di fatto enormi difficoltà a praticare sport.
Il racconto del film si ispira, precisa l’emittente, alla vicenda di Nasima Akter, la prima surfista donna nella storia del Bangladesh, che, nata in una famiglia povera e cresciuta tra mille disagi, ha alla fine trovato in tale disciplina un’occasione di riscatto. Su di lei, arrivata a sfidare persino gli atleti maschi, è stato anche girato nel 2015 un documentario da parte di un regista americano.
Nonostante racconti una storia di rivincita sociale, No Dorai, all’indomani della sua uscita nei cinema bengalesi, è divenuto oggetto di contestazioni, nonché di richieste di messa al bando inoltrate addirittura alla Corte suprema nazionale.
Un avvocato di nome Huzzatul Islam, riporta Al Jazeera, ha appunto sollecitato l’intervento della massima autorità giudiziaria del Paese accusando il film di “urtare il sentimento religioso musulmano”, senza però specificare quali scene sarebbero a suo avviso oltraggiose. Egli, citato dallo stesso network, ha poi esortato le autorità, a nome degli ambienti musulmani conservatori, ad applicare la censura, revocando la licenza di diffusione cinematografica accordata in precedenza a No Dorai: “Noi chiediamo che la commissione nazionale per la censura cancelli il nulla osta rilasciato ai produttori del film. Deve essere inoltre interrotta la diffusione di quella pellicola e il suo regista deve scusarsi pubblicamente”.
Mahboob Rahman, il produttore di No Dorai, ha in seguito comunicato, fa sapere il medesimo network, che le autorità giudiziarie bengalesi, sollecitate appunto dall’avvocato Islam, avrebbero già aperto un fascicolo in merito al lungometraggio. I magistrati avrebbero quindi dato al produttore un mese di tempo per discolparsi dalle accuse e per spiegare perché non dovrebbe essergli revocata la licenza di diffusione della pellicola incriminata.
Rahman, dopo avere chiarito di volere lottare per impedire la messa al bando del suo film, ha rilasciato dichiarazioni critiche verso i settori tradizionalisti della società bengalese, rilanciate sempre da Al Jazeera: “C’è un blocco che vuole tenere le donne chiuse in casa.
Delle persone stanno dicendo che Ayesha indossa un bikini nel film e che ciò rappresenta un attacco alla nostra religione, ma non ci sono affatto scene del genere nella pellicola. Quelli che avanzano accuse simili sono persone che non hanno visto neanche uno spezzone del film”.
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