E' tornata la paura a Bangkok. La potentissima esplosione di ieri all’incrocio di Ratchaprasong, a due passi dai grandi centri commerciali di Siam Square, ha provocato almeno ventidue morti e oltre cento feriti. Prawut Thavornsiri, portavoce della polizia, ha reso noto che tra le vittime ci sono anche otto stranieri: cinque cinesi, due malesi e un filippino.
“E' il peggior attacco che la Thailandia abbia mai visto”, ha detto il leader della giunta militare e attuale premier Prayuth Chan-Ocha. “Abbiamo avuto piccole bombe o disordini, ma questa volta hanno colpito vite di innocenti, vogliono distruggere la nostra economia e il nostro turismo”. I sospetti si concentrano su un uomo ripreso da alcune telecamere di sicurezza e il generale al potere punta il dito contro un “gruppo anti-governativo basato nel nord della Thailandia”. Il riferimento è più che chiaro: il nord del Paese è la roccaforte della famiglia Shinawatra e del movimento delle “camicie rosse”, storici avversari delle “camicie gialle”. Quest'ultime sostenuti dalle élite della capitale, dagli ambienti vicino alla monarchia e anche dalle forze armate.
Dopo il colpo di stato del 22 maggio 2014 - il diciannovesimo tra tentati e riusciti dal 1932, anno della nascita della monarchia costituzionale nel Paese – che ha deposto il governo guidato da Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin Shinawatra, per anni primo ministro e attualmente in esilio, la Thailandia è stata sotto legge marziale fino all'aprile scorso, quando è stato rimpiazzata da un decreto più restrittivo che ha dato ancora più potere alla giunta militare. Un potere che in poco più di un anno ha fatto arrestare più di 500 attivisti dissidenti e giornalisti e ha fatto chiudere centinaia di radio locali e siti web indipendenti. Secondo un'altra ipotesi, il violento attentato è da attribuire proprio ai sostenitori del golpe militare per rafforzare ancora di più il bisogno di controllo e giustificare nuove repressioni.
Ma l'attacco non è stato ancora rivendicato e molte sono le piste possibili. Anche quella che viene dal sud ribelle delle provincie di Pattani, Narathiwat, Yala, dove vivono quasi 2 milioni di persone. Qui la minoranza etnica musulmana dei Malay rivendica l’autonomia e lo fa con armi ed attentati. Dal 2004 ad oggi, le violenze dei gruppi musulmani e la repressione thailandese, hanno provocato oltre 6mila vittime. I ribelli del sud, pur chiedendo quasi tutti l'autonomia dalla Thailandia, si dividono in vari gruppi ed operano autonomamente senza un unico leader riconosciuto. Attualmente, le organizzazioni più attive, sono una ventina. Tra le più conosciute ci sono il “Patani Malay
National Revolutionary Front” (BRN), fondato nel 1960 e ora diviso in tre diverse fazioni, il “National Liberation Front of Patani” (BNPP), formato nel 1947 e riorganizzato nel 1960, il “Patani United Liberation Organization” (PULO), nato nel 1968, l’“Islamic Mujahidin Movement of Patani” (GMPI), fondato nel 1995, e il più recente “United Front for the Independence of Patani”, conosciuto anche con
il nome “Bersatu”, che in malese significa “Uniti”. Nell'ultimo periodo questi gruppi hanno intensificato gli attacchi. E anche se fino ad ora non hanno mai operato nelle zone turistiche, non è possibile escludere nulla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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