Figlio di un operaio che combattè nella Seconda guerra mondiale, Howard Schultz ha lasciato la guida di Starbucks, il colosso mondiale di caffetterie. "Mentre mi preparo a farmi da parte - ha scritto in una lettera ai dipendenti - vorrei umilmente ricordarvi di non perdere di vista quello che conta di più: i vostri colleghi e i nostri clienti". Dopo quasi quarant'anni al vertice dell'azienda Schultz lascia il suo ruolo di presidente esecutivo e membro del cda: dal prossimo 26 giugno sarà presidente emerito. L'uscita di scena arriva con una società in piena salute (28 mila punti vendita sparsi in 77 Paesi, 180mila dipendenti, 2,8 miliardi di utili nel 2017), e a pochi mesi dallo sbarco della prima caffetteria in Italia, paese simbolo del caffè.
Sessantacinque anni, cresciuto in una famiglia povera a Brooklyn (suo padre rimase paralizzato e, non avendo l'assicurazione sanitaria, la famiglia rimase senza reddito). Il giovane Howard riuscì comunque a studiare, e dopo aver ottenuto una borsa di studio per meriti sportivi entrò alla Northern Michigan University. Portò a termine gli studi, laureandosi, pur avendo abbandonato il football: si mantenne grazia a un prestito d'onore (rimborsabile una volta conseguito un lavoro) e facendo alcuni lavoretti, come il barman.
Nella sua lettera ai dipendenti Schultz ha rivolto un pensiero anche al genitore: "Ho deciso di costruire la compagnia nella quale mio padre, operaio e veterano della II guerra mondiale, non ha mai avuto l'occasione di lavorare". Nelle sue parole ha ripercorso un cammino iniziato con l'apertura nel 1981 del primo negozio a Seattle. Oggi Starbucks è un colosso mondiale, con il titolo che, quotato in borsa la prima volta nel 1992, è enormemente cresciuto di valore. "Insieme abbiamo fatto questo e molto di più - ha sottolineato - trovando l'equilibrio tra profitto e coscienza sociale, compassione e rigore, amore e responsabilità".
Ma che farà ora Schultz? Possibile che si goda (già) la pensione? Il New York Times lo butta nella mischia politica, indicandolo come possibile sfidante di Trump nel 2020, per il Partito democratico. Lui cosa ne dice? "Voglio pensare a una gamma di opzioni, che potrebbe includere il servizio pubblico. Ma sono ancora lontano dal prendere una decisione". Non conferma né smentisce.
Ma una frase lascia pensare che, in realtà, abbia le idee già abbatanza chiare sul da farsi: "Sono profondamente preoccupato per la nostra nazione". Una considerazione personale che, al contempo, è una valutazione politica. Chissà se questo self made man con il cuore a sinistra (e il portafoglio decisamente a destra) riuscirà a far breccia tra gli americani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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