In Colombia, il referendum diretto ad apportare importanti modifiche alla legislazione nazionale anticorruzione non ha raggiunto il quorum necessario a sancire l’entrata in vigore delle nuove norme. Poco meno di dodici milioni di cittadini hanno preso parte alla consultazione, un numero insufficiente a decretare la validità del voto. La quasi totalità dei Colombiani che hanno partecipato al referendum si è espressa a favore dell’inasprimento delle leggi anticorruzione.
Nel giugno di quest’anno, il Congresso nazionale ha indetto una consultazione referendaria avente per oggetto significative modifiche alle norme sugli stipendi dei parlamentari, alla legislazione penale e a quella sugli appalti. Lo svolgimento della consultazione era stato sospeso a causa delle imminenti elezioni presidenziali. Ivan Duque, uscito vincitore da queste ultime, dichiarava, all’indomani del suo insediamento, di volere organizzare “in tempi rapidi” il referendum indetto dal Parlamento lo scorso giugno. Il nuovo presidente annunciava anche il proprio sostegno al “pacchetto” di riforme oggetto della consultazione popolare, mentre esponenti del suo stesso partito si dissociavano immediatamente da tale presa di posizione.
Domenica 26 agosto, i Colombiani si sono potuti recare alle urne per dire “sì” o “no” alle riforme anticorruzione. I cittadini dovevano esprimere il proprio parere riguardo a sette modifiche normative. Tra le principali proposte legislative vi era quella intesa a decurtare, di più del 50%, lo stipendio dei parlamentari. Attualmente, ciascun membro del Congresso guadagna 124mila dollari l’anno, più di un deputato francese, olandese o svedese.
Un’altra riforma alla quale i media locali avevano dato grande risonanza era quella diretta a inasprire le pene per i politici condannati per corruzione. Al giorno d’oggi, molti parlamentari colombiani incriminati per appropriazione indebita e reati contro la pubblica amministrazione stanno scontando la pena agli arresti domiciliari. La riforma della normativa penale mirava a eliminare tale privilegio, rendendo obbligatoria la detenzione in carcere per gli autori di pratiche corruttive. Ulteriore obiettivo del “pacchetto” era rendere trasparenti le procedure di appalto, nonché imporre ai funzionari dello Stato la pubblicazione dei guadagni percepiti e stabilire un limite alla rielezione per i candidati al Congresso e alle assemblee locali.
Il 99% dei votanti ha manifestato il proprio sostegno al “pacchetto” anticorruzione. Tuttavia, la soglia dei dodici milioni di partecipanti, quorum necessario a decretare la validità del responso referendario, non è stata raggiunta, per poco meno di 470mila voti. Di conseguenza, le leggi dirette a rendere trasparente l’attività dei politici colombiani resteranno prive di efficacia. Il presidente Duque, circa l’esito del referendum, ha affermato: “Il 99% dei cittadini si è espresso a favore della lotta alla corruzione. Sfortunatamente, poco meno di un terzo della popolazione ha partecipato al referendum. Le proposte oggetto della consultazione erano riforme che i Colombiani attendono da 25 anni. Nonostante il fallimento del referendum, il Governo è già al lavoro per presentare al Congresso quanto prima nuove ambiziose riforme per sradicare la corruzione dal nostro Paese.”
Secondo Edgardo Maya, a capo della magistratura contabile del Paese sudamericano, tale crimine genera ogni anno un costo per i contribuenti pari a 17 miliardi di dollari.
Il magistrato ha utilizzato toni drammatici per descrivere l’attuale contesto politico-istituzionale colombiano: “Stanno rubando di tutto”. La Colombia, nella classifica dei Paesi più virtuosi del mondo stilata da Transparency International, occupa una posizione molto bassa: novantaseiesima su un totale di 180 nazioni analizzate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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