Difendere una ragazza che si è ritrovata a vivere sotto scorta per gli attacchi sessisti e le minacce di morte ricevuti da alcuni esponenti della comunità musulmana o difendere la comunità musulmana presa di mira da quella stessa ragazza con parole offensive attraverso un live su Instagram? "Non sostengo pubblicamente Mila perché non condivido la sua visione del mondo razzista ed irrispettosa dei musulmani e delle musulmane di Francia". Sta tutto in questa frase, pronunciata lo scorso giugno dalla giornalista e attivista per i diritti delle donne, Lauren Bastide, il cortocircuito del mondo femminista francese sul cosiddetto "affaire Mila".
La vicenda della ragazza di Villefontaine ormai in Francia la conoscono tutti. Inizia nel gennaio del 2020, quando Mila, che all’epoca ha soltanto sedici anni, respinge le avances insistenti di un gruppo di ragazzi musulmani che le scrivono su Instagram. Quando scoprono che Mila è gay, iniziano ad insultarla. Lei, però, non ci sta e in un video in diretta lanciato sullo stesso social network inizia ad insultare la religione islamica, usando toni molto duri. Pochi minuti che cambieranno radicalmente la sua vita. La ragazza nel giro di qualche ora viene tempestata di minacce di stupro e di morte.
Oltre 100mila i messaggi ricevuti nell’arco di neppure un anno. Un lasso di tempo in cui, per proteggere la propria incolumità, è stata costretta a lasciare la scuola, a vivere sotto scorta e ad uscire di casa mascherata con cappelli e parrucche per nascondere la propria identità. I fondamentalisti la vogliono morta. Lei lo sa bene, e ha tentato di esorcizzare la paura scrivendo un libro autobiografico dal titolo eloquente: "Sono il prezzo della vostra libertà". Un testo in cui accusa la Francia di averla lasciata sola a combattere la battaglia in difesa della laicità dello Stato e della libertà di espressione.
Lo stesso j’accuse è stato riformulato qualche giorno fa dal papà di Mila, intervistato dall’emittente francese Bfmtv. L’uomo, se la prende proprio con il mondo femminista definendo "incomprensibile" l’atteggiamento di chi esita a difendere sua figlia. "È distruttivo perché condona questi attacchi", commenta. Si riferisce alle prese di posizione emerse in questi mesi sul caso della ragazza da parte di attiviste per i diritti delle donne e delle persone omosessuali. Le Monde ne ha riassunte alcune. Da quella della militante femminista marocchina, Fatima Benomar, che non riesce a decidere se stare al fianco "di una giovane lesbica" o di quelli che definisce "stalker intolleranti alla blasfemia", fino a quella di Suzy Rojtman, portavoce del Collectif national pour les droits des femmes. Anche per lei è difficile prendere posizione.
Schierarsi con Mila significherebbe, è il ragionamento della femminista, offrire un assist alla destra "islamofoba". Anche l’attivista Lgbt, Silvia Casalino, interpellata dallo stesso quotidiano francese, sul caso di Mila glissa. Nel frattempo, però, le minacce nei confronti della giovane non si fermano. Dopo che lo scorso 7 luglio scorso sono stati condannati in undici con pene che vanno dai quattro ai sei mesi di carcere per le cyber-molestie dirette a Mila, nei giorni scorsi un altro ragazzo, un 17enne ceceno, Said A., è stato interrogato dalla polizia di Reims dopo un’allerta sul suo conto diramata dai servizi di sicurezza.
Il giovane è stato fermato a Langres, nel dipartimento della Haute-Marne. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti, come racconta Le Point, è stato proprio il suo "attivismo informatico sul dossier Mila". Dal colloquio con il ragazzo sono emersi elementi preoccupanti.
Si tratterebbe di un giovane estremista, radicalizzatosi sul web. Proprio come un altro giovane ceceno, Abdoullakh Anzorov, il 18enne che decapitò il professor Samuel Paty in una scuola di Conflans-Sainte-Honorine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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