Quando nel 1968, con un margine particolarmente esiguo, Richard Nixon divenne Presidente degli Stati Uniti dopo aver perso otto anni prima le elezioni contro John Kennedy, molti giornali statunitensi parlarono della più clamorosa resurrezione dai tempi di Lazzaro.
Certo è che, dopo questa lunga, lunghissima, notte quella di Donald Trump le batte entrambe, quella di Nixon, e, non ce ne voglia, pure quella di Lazzaro.
L'affermazione di Trump, questa notte ci ha consegnato senza ombra di dubbio il risultato più clamoroso della recente storia politica d'occidente, una sorpresa che sbaraglia e seppellisce, e in modo definitivo, gli equilibri, praticamente secolari e immutabili, della politica americana. Le grandi dinastie americane, la potenza di Wall Street, politically correct: tutto finito, in una sola notte.
Quella di Trump è anzitutto la vittoria dell'irrazionalità, dell'arrabbiatura e della repulsione verso quella classe dirigente che in questi anni ha sistematicamente tradito le richieste e le esigenze della middle class, sperando che la new society obamiana potesse ovviare da sé, come con un pilota automatico, alla prevista emorragia di consensi. Non sono bastate le speranze sui latini, sugli afroamericani e sugli asiatici. Non sono bastati gli endorsement dei media e delle cancellerie di mezzo mondo. Il sogno di Obama si è infranto sul viso di una ostinata signora settantenne. La sveglia è suonata.
L'elettore americano che questa notte ha regalato a Trump la Casa Bianca è, esattamente, lo stesso di sempre. Parlare di “America profonda”, come spesso i nostri analisti in assenza di argomentazioni valide amano fare, ha poco senso. Basta guardare i dati, anche parziali, degli Stati dell'est per comprendere che questa controrivoluzione, stavolta, non viene da lontano. L'America rurale che spesso aveva rappresentato l'ago della bilancia nelle scorse presidenziali è, in questa occasione, più che mai in sintonia con l'altra fetta d'America. Seppur di fronte ad una sensibile riduzione della disoccupazione gli americani, tutti gli americani, hanno visto diminuire in modo considerevole il proprio potere d'acquisto parallelamente ad un aumento drammatico e incontrollato della forbice di impoverimento. L'americano di stanotte, anche quello del Michigan, del Wisconsin, della Georgia, proprio come quello di quattro e di otto anni fa, prima di votare, ha guardato prima di tutto dentro la sua tasca.
Di fronte a questa realtà non poteva certo essere Hillary Clinton a guidare, ad intestarsi il cambiamento. Lo diceva la storia, anzitutto. È infatti dal 1963, dalla drammatica staffetta Kennedy-Johnson, che due democratici non riescono a darsi il cambio a Pennsylvania Avenue. Ma lo diceva anche la cronaca. Troppo finta, troppo impostata, troppo matura per essere in grado di raccogliere il testimone di un leader carismatico come Obama o di convogliare su se stessa i consensi dei giovani mobilitati dal suo più convincente competitor Bernie Sanders, che anzi, aveva addirittura rischiato di mettere in discussione la sua nomination facendola apparire debole già prima di cominciare questa fallimentare corsa.
Donald Trump, nonostante le gaffes, le defezioni e le scomuniche eccellenti dall'interno del partito repubblicano, famiglia Bush in testa, ha saputo convincere il proprio elettorato a recarsi in modo massiccio alle urne mentre Hillary Clinton non solo ha perso consensi praticamente dappertutto ma, cosa ancor più grave, non è riuscita nemmeno a convincere l'elettorato afroamericano a mobilitarsi nemmeno di fronte alla paura.
Cosa ne sarà e cosa scaturirà da questo irrazionalismo americano è una incognita. La fluttuazione dei future già durante i gli incerti risultati della Virginia fanno presagire che non solo l'America ma tutto il mondo non avrebbe scommesso un centesimo sull'affermazione di questo intruso che, a quanto pare, ha già scritto una pagina di storia memorabile.
Con il primo Presidente che ha battuto non un solo partito – ma due – questa storia, tutta da scrivere, si fa interessante se non altro per il metodo (e il merito) di aver mandato a casa una rediviva gioiosa macchina da guerra che ci avrebbe consegnato i quattro anni di mandato più noiosi della storia.Simone Santucci,
Capo della Segreteria della Fondazione Luigi Einaudi
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