Il disastro del Brasile

Con foto di una Dilma Rousseff che si guarda la punta dei piedi disperata, l'analisi dell'Economist è impietosa

Il disastro del Brasile

E alla fine anche The Economist, bontà sua, s’è accorto che nel 2016 non è la Grecia, né il Portogallo, non è la Russia e neppure Gazprom, bensì il Brasile e il suo ex ‘gioiello’ Petrobras a rischiare il tracollo o, se preferite, il disastro. E se n’è accorto a tal punto da dedicare alla sua controversa presidente Dilma Rousseff – sul cui capo tra le altre cose pende una richiesta formale di impeachment (cassazione del mandato in italiano) per avere fatto truccare i conti dello stato - la prima copertina del 2016. L’ex guerrigliera con una laurea in economia - a differenza della presidente del Fondo Monetario Internazionale, la francese Christine Lagarde - ha lo sguardo socchiuso rivolto a terra, la bocca serrata ed è visibilmente tesa, come del resto l’attuale situazione economico-politica del paese del samba. “Il 2016 sarà un anno disastroso per il Brasile - spiega The Economist – ed il motivo lo chiarisce sinteticamente il suo direttore Zanny Minton Beddoes: “l’inetto governo di Rousseff ha fallito nel superare la profonda depressione economica e politica e, adesso, il paese si trova di fronte ad un altro decennio perduto”. Un giudizio lapidario ma che, dati alla mano, non sorprende nessuno degli addetti ai lavori. I numeri contenuti nel reportage di copertina del settimanale britannico non lasciano dubbi rispetto al disastro imminente che attende il Brasile nel 2016, anno che invece si sarebbe dovuto dedicare “a fare ciò che” il paese del samba “sa fare meglio”, ovvero “festeggiare”. Già perché tra pochi mesi inizieranno a Rio le prime Olimpiadi sudamericane di tutti i tempi ma, invece di celebrare, Rousseff ed il suo governo dovranno o “intraprendere la dura strada delle riforme strutturale”, ipotesi remota a detta di The Economist a causa di un sistema politico che rasenta l’associazione a delinquere, o prepararsi “al peggio”. Con un deficit fiscale passato dal 2% sul PIL nel 2010 ad oltre il 10% quest’anno, il costo del debito in interessi è già pari al 7% del prodotto interno lordo, per cui la Banca Centrale difficilmente potrà alzare ulteriormente i tassi d’interesse. Inoltre con un’inflazione oltre il 10% ed un PIL che quest’anno crollerà secondo la stessa Banca centrale brasiliana del 3,6%, alzare oltre il 15% i tassi d’interesse aggraverebbe la stagflazione già esistente. Nel 2016 il PIL continuerà a crollare del 2,5-3% mentre, secondo un rapporto di Credit Suisse citato da The Economist, l’inflazione sfonderà il tetto del 17% a inizio 2017. Ma il numero peggiore è quello sulla spesa pubblica, visibilmente fuori controllo. Secondo le stime di Berclays il debito pubblico brasiliano, che nel 2013 era il 53% del Pil, supererà di slancio quota 93%. Poco rispetto al 197% della Grecia o al 246% del Giappone direte voi? Il problema è che al netto della ricchezza posseduta da Atene e Tokio, il debito brasiliano è di gran lunga maggiore a quello giapponese e circa il doppio di quello greco. “Fa paura che la spesa pubblica sia aumentata del 21% negli ultimi tre anni – sottolineava settimana scorsa l’economista Delfim Netto, ammonendo sui rischi di politiche espansive di tipo keynesiano. Politiche che, invece, tutto lascia intendere è pronto a fare il nuovo ministro dell’economia, Nelson Barbosa (http://www.ilgiornale.it/news/mondo/barbosa-leconimista-sinistra-che- aumentar-tasse-brasile-1206192.html), fortemente voluto dal PT al posto dell’“odiato” Joaquim Levy.

Con una produttività che è la quart’ultima al mondo tra i paesi OCSE e leggi sul lavoro copiate in toto da quelle di Mussolini, continua durissimo The Economist, che il 2016 sia una tragedia per il Brasile non è tanto un rischio ma, quasi, una certezza.

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