Lasciare le fila dell'Isis è possibile. Le motivazioni di chi ha "disertato"

Secondo un centro di studi sulla radicalizzazione di Londra i Paesi d'origine dovrebbero tentare un nuovo approccio con gli ex combattenti

Lasciare le fila dell'Isis è possibile. Le motivazioni di chi ha "disertato"

I casi documentati non sono numerosissimi. Meno di sessanta quelli credibili e "pubblici". Ma tornare indietro dalla Siria e dall'Iraq, lasciando i ranghi dell'Isis, è possibile.

Non tutti quelli che hanno scelto di partire e combattere, convinti dalla macchina della propaganda e radicalizzati dalle promesse del sedicente Stato islamico, hanno trovato ciò che cercavano in Iraq, in Siria, nei teatri del jihad del "Califfato".

E non tutti quelli che sono tornati ai loro Paesi d'origine l'hanno fatto convinti delle ragioni che li hanno portati a partire, pronti per un ipotetico attacco. C'è chi si è allontanato da disertore e uno studio pubblicato dal Centro internazionale per lo studio della radicalizzazione di Londra (Icsr) spiega le ragioni, non sempre nobili, di chi ha ripercorso al contrario la via verso casa.

Tante le motivazioni che spingono i jihadisti a tornare, come diverse sono le storie di radicalizzazione. Ma "praticamente ognuno di loro - scrive l’Icsr - sostiene che il gruppo non abbia soddisfatto le aspettative [dei militanti] e che le azioni e il comportamento dell’Isis siano incoerenti con la sua ideologia e con ciò che sostiene di essere".

Non si tratta di ex islamisti radicali che sono saltati dall’altra parte della barricata. In molti casi gli stessi che denunciano l’incoerenza del sedicente Stato islamico lo fanno partendo comunque da presupposti che non rinnegano la scelta del jihad.

Tra i 58 casi analizzati in Inghilterra c’è la storia di chi è partito per combattere nella guerra civile contro il regime di Bashar al-Assad e si è trovato invischiato in una guerra tra bande in cui l’Isis è in lotta non solo contro i lealisti, ma pure e forse prima di tutto contro tutti gli altri gruppi in armi in Siria.

C’è chi ha visto nel sedicente Stato islamico il paladino della causa sunnita, per poi ricredersi di fronte a violenze che non risparmiano nessuno, musulmano o meno. O chi "era disposto a sopportare le difficoltà della guerra", ma non razzismo, corruzione e disuguaglianza che confliggono con l’immagine che di sè l’Isis vuole dare e che i disertori vedono come comportamenti "non-islamici".

Infine, c’è chi è partito con la prospettiva di un "jihad a 5 stelle", in cerca di ricchezze facili e di una vita agiata. Soprattutto tra gli ex combattenti che vengono dai Paesi occidentali, si legge nel rapporto dell’Icsr, c’è chi di fronte alle condizioni di vita reali del “Califfato” non ha retto. "Ma non molti sono disposti ad ammetterlo".

Come non molti sono disposti a uscire allo scoperto dopo la diserzione, già di per sé complicata. In passato l’Isis non ha mancato di pubblicizzare esecuzioni e punizioni per "spie" e "traditori". E una volta fatto ritorno i jihadisti sanno che finiranno sotto lo scrutinio della giustizia.

La sfida per i Paesi d’origine degli ex combattenti, sostiene l’Istituto per lo studio della

radicalizzazione, è quella di provare un approccio diverso al fenomeno, "riconoscendo il valore e la credibilità dei disertori", per "aiutarli a rendere pubblica la propria storia". E provare a minare la propaganda jihadista.

@ACortellari

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