Domenica si vota in Venezuela

Domenica si vota in Venezuela per rinnovare il Parlamento. Non sarebbe nulla di che in qualsiasi paese normale al mondo ma essendo a Caracas l’aggettivo normale scordatevelo

Domenica si vota in Venezuela

Domenica si vota in Venezuela per rinnovare il Parlamento. Non sarebbe nulla di che in qualsiasi paese normale al mondo ma essendo a Caracas l’aggettivo normale scordatevelo.

Il cambio, ad esempio. Ce ne sono almeno quattro. All’ufficiale per un dollaro ti danno 6,3 bolivares, sul mercato nero te ne danno invece almeno 800, in mezzo ce ne sono un altro paio, da 12 e da 200, semi-ufficiale. Se siete stranieri ed avete dollari in mano cambiando sul mercato nero – facile come bere un bicchiere d’acqua, in tutti gli hotel fanno a gara per soddisfare la vostra richiesta vista la fame del pueblo di “lechuga verde”, come qui chiamano la moneta statunitense del perfido impero yankee – siete sulla buona strada per fare una vita da nababbi e farete fatica a spendere 1000 dollari al mese. Della serie che per mangiare aragosta nel miglior ristorante di Caracas spenderete appena 10 dollari, ovvero 800 bolivares, un’inezia insomma, paragonabile alla sola Cuba e, in parte, alla Bolivia dove però le aragoste sono rare come i gronchi rosa. Solo attenzione a non dare nell’occhio, soprattutto in queste ore pre-elettorali, visto il tasso di criminalità molto elevato a Caracas e dintorni. Se però i bigliettoni verdi non ce li avete sappiate che con 62 bolivares, l’equivalente al cambio ufficiale di 10 dollari, potete comprare un lecca-lecca. A meno, ça va sans dire, di andate ai Mercal – i supermercati del popolo inventati da buonanima di Chávez con prezzi calmierati e una disponibilità di prodotti limitata all’osso – dove con lo stesso importo, dopo esservi fatti almeno un paio di ore di fila, se siete fortunati potete portarvi a casa due confezioni di caffè da macinare o un Kg di carne di pollo.

Insomma, a seconda del cambio e della disponibilità di “lechuga verde”, oggi il Venezuela è il paese più caro al mondo, o quello più economico. Follia pura o, se preferite, normalità “alla venezuelana”. Anche perché, pur di non riconoscere che esiste un problema inflazionario – per la cronaca l’aumento generale dei prezzi qui è il più alto al mondo avendo superato oggi il 236% l’anno - il presidente Nicolás Maduro, nonostante i superpoteri che gli ha concesso il Parlamento, non si decide ad aumentare il taglio delle banconote sopra i 100 bolivares. Risultato? Se date 100 euro da cambiare al concierge del vostro hotel, lui se ne torna di lì a poco con un borsone pieno di 900 biglietti se va bene – ovvero se ha trovato il massimo taglio da 100 bolivares – oppure con 1800 banconote da 50 bolivares. Passerete il pomeriggio a contare ma avrete l’impressione di essere incredibilmente ricchi. La follia, non fosse per il rischio intrinseco di violenza, è oggi più che mai presente in Venezuela.

Il voto parlamentare è visto infatti dall’opposizione a Maduro come un primo passo per scalfire i superpoteri del regime. Secondo gli ultimi sondaggi del Pew Research Center di Washington e dell’agenzia demoscopica Alfredo Keller, oltre l’80% dei venezuelani vuole un cambiamento e, dunque, in teoria, sarebbe pronto a votare candidati non legati al regime. Se come da sondaggi l’opposizione riuscisse ad ottenere i due terzi più un seggio del Parlamento, potrebbe, sempre in teoria, indire costituzionalmente un referendum il prossimo anno per chiedere ai venezuelani se – dopo metà mandato – vogliono che Maduro rimanga o se ne vada. Il problema è che, nonostante i tanti bla-bla-bla del regime sul “sistema elettorale più sicuro al mondo” non sono stati ammessi osservatori indipendenti a parte quelli bolivariani dell’Unasur.

Il rischio di brogli è altissimo dato il controllo totale del chavismo di tutti i tribunali del paese – non constano sentenze contrarie al regime dal 2005 ad oggi -compreso quello elettorale guidato dall’eterna Tibisay Lucena, che fece spallucce quando alle ultime presidenziali vinte di stretto margine da Maduro su Capriles Radonski, non fece ricontare i voti nonostante le tante denunce dell’opposizione. Preoccupante l’incontro avvenuto lo scorso 2 dicembre a Caracas tra il GRUCE, l’unità militare cubana presente in Venezuela, e l’alto comando militare del regime di Maduro. Obiettivo esporre all’intelligence castrista il Plan Repubblica che dovrebbe garantire “la pace” durante la giornata elettorale. Noti per le loro tradizioni democratiche, i cubani hanno consigliato strategie per ribaltare almeno in parte le intenzioni di voto dei venezuelani. Strategie che, a detta dei presenti, hanno scatenato l’entusiasmo dell’ammiraglio Franklin Momplasier e di Néstor Reverol. Quest’ultimo, già a capo dell’antidroga venezuelana, oggi guida la Guardia Nazionale Bolivariana e potrebbe essere nominato ministro della Difesa da Maduro dopo il 6 dicembre, se “tutto andrà come, a qualsiasi costo, deve andare”.

Tra le misure prese dopo questa riunione anche un “piano per spaventare” i votanti a partire dalle 13 di domenica presso i seggi da parte di collettivi – gang filo-regime - a cui sarebbero state distribuite armi nei pressi delle “missiones vivienda”, le case popolari fatte costruire dal chavismo.

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