Cristiani d'Egitto perseguitati. Nessuno paga per la violenza

Il patriarcato plaude alla nuova legge per quieto vivere. Ma gli attacchi continuano

Cristiani d'Egitto perseguitati. Nessuno paga per la violenza

Tra il sei e il dieci per cento di una popolazione che conta 93 milioni di persone. Tanti sono, secondo calcoli mai confermati da un numero ufficiale, i cristiani in Egitto, principalmente riuniti sotto il cappello della Chiesa ortodossa copta, guidata dal patriarca di Alessandria, Teodoro (Tawadros) II.

Una minoranza numericamente non troppo ridotta, politicamente spesso vicina alle posizioni del generale Abdelfattah al-Sisi, che da quando ha preso il potere ha presenziato pubblicamente alla messa più di una volta, promettendo condizioni migliori per i cristiani e una maggiore libertà di religione, in uno Stato che costituzionalmente riconosce solo i tre grandi monoteismi.

Una Chiesa, quella egiziana, che ha sofferto molto.

Copti erano i cristiani trucidati dal sedicente Stato islamico (Isis) su una spiaggia della Libia, in un video terribile e diventato tristemente noto per la decapitazione di 21 prigionieri caduti nelle mani dei jihadisti.

Copti i molti fedeli presi di mira, anche dopo gli stravolgimenti politici degli ultimi anni. Secondo l'Iniziativa egiziana per i diritti umani (Eipr), nella sola regione di Minya - dove i cristiani sarebbero circa un terzo della popolazione - si sono registrati 77 episodi di scontri settari dalla rivoluzione del 2011.

Ora, dopo trattative condotte in grande segretezza, una legge è approdata in parlamento ed è stata poi approvata. Un testo che per la prima volta doveva uniformare le regole sui luoghi di culto, e che la Chiesa copta ha accolto come un passo in avanti, ma che invece Human Rights Watch, come altri osservatori su posizioni più critiche di quelle del patriarcato, bollano come un flop, che ancora discrimina la minoranza cristiana.

"Attaccati impunemente"

Con la nuova legge - denuncia l'organizzazione - restano le restrizioni sulla costruzione di nuove chiese e sul restauro di quelle già esistenti. "Le autorità stanno ignorando i problemi sistemici esistenti e mandando il messaggio che i cristiani possono essere attaccati impunemente", ha commentato con durezza Joe Stork, vice-direttore di Hrw per Medioriente e Nord Africa.

Il testo approvato il 30 agosto dà ai governatori la facoltà di permettere o no la costruzione di una nuova chiesa, senza possibilità d'appello. Dice anche che si deve tenere in conto la sicurezza pubblica. E secondo l'organizzazione, in un Paese dove gli attacchi contro i cristiani non sono una novità, significa rischiare di dover cedere alle pressioni di manifestazioni violente.

Prescrive poi che i luoghi di culto siano adeguati alla dimensione della comunità dei fedeli. In apparenza una norma di buon senso: non fosse che in Egitto numeri ufficiali sui cristiani non ce ne sono, perché le autorità hanno sempre sostenuto che si tratta di una questione di sicurezza nazionale.

Se la Chiesa copta sostiene che erigere luoghi di culto sarà ora più semplice, i dubbi degli osservatori rimangono e molto pochi sono i casi in cui i responsabili di violenze contro i fedeli sono stati giudicati in tribunale e puniti.

"Nessuno è stato ucciso", commentava pochi giorni fa al New York Times Mohammed Gomaa, imam incaricato dei rapporti tra le comunità musulmane e cristiane. Ma tra attacchi, case date alel fiamme e scritte d'odio sui muri di alcune chiese, i fedeli di certo non sorridono.

La comunità cristiana è inoltre sottoposta a richieste che l'islam non è tenuto a rispettare, soprattutto se in discussione sono l'ampliamento o la "legalizzazione" di un luogo di culto.


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