Lo hanno fermato subito gli inquirenti. Subito dopo la sua irruzione in una fabbrica di gas industriale a Saint-Quentin-Fallavier, non lontano da Lione. Subito dopo aver attaccato una testa mozzata, quella del suo datore di lavoro, su una palizzata. Da allora Yacine Salhi si è rinchiuso in un silenzio che non spiega il perché del suo gesto.
Aveva con sé una bandiera islamista, dicono le cronache di ieri. Ma al momento non c'è nulla che confermi senza ombra di dubbio la sua appartenenza a un gruppo estremista, o un attacco nato da una direttiva di un qualche gruppo, che sia l'Isis o altri. C'è quel drappo, e la testa mozzata. Modalità già viste molte volte.
Il principale imputato per la decapitazione del 54enne Hervè Cornara è guardato a vista. Il 35enne, padre di tre figli continua a essere descritto dai vicini di casa come una persona nella norma. E anzi uno che nella moschea di Saint-Priest si vedeva pure poco e non aveva grandi amicizie.
A far propendere per un suo legame con un qualche gruppo jihadista ci sono però quelle due informative dei servizi segreti, nel 2013 e nel 2014. Era tenuto d'occhio per la sua vicinanza ad ambienti salafiti, per una sua radicalizzazione apparente. Lupo solitario? Membro di una "cellula"? Folle? Tutte le piste sono ancora da battere e Salhi non dà risposte che possano aiutare le indagini.
"Si è comportato da kamikaze - dicono fonti sentite da Dauphine Libéré, quotidiano locale francese -. Il suo colpo era premeditato, molto organizzato.
Usando la messa in scena della decapitazione, vera arma psicologica, ha risposto alle direttive dello Stato Islamico". Avrebbe inviatro una foto con la testa mozzata, dicono fonti legali. Ma una rivendicazione vera, ancora non c'è stata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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